
La commozione del cardinale Mimmo Battaglia durante l'omelia ai funerali di Martina Carbonaro era simile a quella di molti. Perfino la persona chiamata a consolare, a tentare di dare un senso a questo dolore non è riuscita a riempire di parole questo squarcio. Perché le lacrime sono sì di sofferenza, ma a volte si piange anche per impotenza.
E ora, Martina? Che facciamo? Sei una pagellina. Dalle nostre parti chiamano così le immagini che vengono donate a coloro che vanno ad un funerale, per ricordare il defunto. Pagellina, come quella di scuola. E che voto ti diamo, che voto ci diamo, per tutto questo?
Afragola e Caivano. Due approcci diversi
Chiaramente, in un altro mondo, la tragedia di una ragazzina di 14 anni, barbaramente uccisa per mano di un uomo di quasi 19 anni, sarebbe piombata come un grande punto interrogativo su tutta una intera comunità. Non è accaduto ad Afragola, periferia dell'impero, un posto che pure i napoletani di città conoscono soltanto se hanno degli interessi specifici ma che mai si sognerebbero di frequentare. Figuriamoci di capire.
Afragola e Caivano sono lontane dieci minuti di auto. Sono così diverse? Nossignore. Eppure l'orrore di Caivano, lo stupro delle cuginette tredicenni, è stato il momento in cui si è acceso un faro, enorme, su un territorio intero. Giusto, doveroso: è la missione più alta della politica.
Il governo di destra si è intestato la battaglia. Ha deciso delle misure – in parte totalmente sbagliate, secondo l'opinione di chi vi scrive – ma ha fatto, detto, promesso qualcosa.
Trasmissioni televisive a iosa, «dotti medici e sapienti» a spiegare il contesto, lo scenario, il quadro di riferimento. La stessa premier Giorgia Meloni è andata più volte a Caivano, dove praticamente l'intero governo si è recato per svariate iniziative.

Per Afragola no. Per Martina Carbonaro si è deciso che si tratta di un omicidio e basta. Qualcuno ha perfino negato il termine femminicidio («ma sono così piccoli, sono ragazzini!»). Il tema è tutto incentrato sulle aggravanti del reato di omicidio e sulla dinamica del barbaro assassinio. Non una parola sul contesto. Meloni ai funerali di Martina ha mandato i fiori.
Poteva accadere ad Afragola come in Brianza? Sicuramente. Ma è successo ad Afragola. Possibile che non si riesca ad allargare lo sguardo al contesto? Un paesone dove Lega e Fratelli d'Italia sono le principali forze di governo, dove il racket ha fatto saltare più volte negozi, dove esistono periferie come il Rione Salicelle che nulla hanno da invidiare al famigerato Parco Verde di Caivano non sono meritevoli di analisi, di ragionamenti, di provvedimenti, di iniziative?

Pare di no. Il caso di Martina Carbonaro riguarda solo Martina, la sua famiglia, coloro che le volevano bene e il suo assassino reo confesso. Il contesto afragolese è stato anzi usato per tentare di ridicolizzare, sminuire, il dolore di una famiglia devastata che non ha certo gli strumenti culturali di Gino ed Elena Cecchettin ma che ha tutto il diritto di vedere inscritta la sua vicenda nel novero delle vittime di un patriarcato tramandato di generazione in generazione. Si è parlato tanto della piccola Martina "fidanzata" a dodici anni. Ma nessuno si è preso la briga di pensare alle "altre" di Afragola.
C'è un nome sulla pagellina con la foto di Martina: è quello della sua amica – anzi la sua «amichetta» termine che stabilisce una identità da bambina. Si chiama Fatima. A Fatima nessuno ha pensato. Tutti concentrati a parlare del delitto – perché l'Italia è dannatamente ossessionata dal crime – e nessuno che si ponga la domanda: e ora? Dopo Martina che succederà?

