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Violenta una ragazza che non riesce a reagire: il pm chiede l’archiviazione ma il giudice lo condanna

Un parrucchiere di Cremona è stato condannato a quattro anni di reclusione perché ritenuto il responsabile di una violenza sessuale nei confronti di una ragazza che si era andata a tagliare i capelli.
A cura di Giorgia Venturini
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Arriva una condanna di quattro anni nonostante il pubblico ministero avesse per due volte chiesto l'archiviazione della indagini. Dopo la decisone del giudice invece dovrà scontare una condanna a quattro anni il parrucchiere di Cremona che il 7 luglio del 2018 è stato ritenuto il responsabile di una violenza sessuale nei confronti di una ragazza che si era andata a tagliare i capelli.

La violenza nel negozio del parrucchiere

Stando alla ricostruzione dei fatti riportata sul Corriere della Sera, durante quel pomeriggio estivo il ragazzo, amico di famiglia, aveva abbassato la saracinesca del negozio iniziando a palpeggiare la giovane fino ad arrivare ad abusare di lei. La ragazza ha raccontato agli inquirenti non essersi paralizzata tanto da non essere stata in grado di reagire ed evitare la violenza. Era riuscita a raccontare tutto però a un'amica poco dopo.

Il racconto dell'imputato

Durante le indagini la Procura aveva invece confermato la versione del parrucchiere che sosteneva ci fosse stato il consenso, giustificando così l'assenza di reazione: tanto che il pm aveva chiesto per due volte l'archiviazione. Del dettaglio i motivi riportati erano due: nel primo caso, il magistrato aveva sostenuto la tesi che non ci fosse stata violenza o minaccia da parte dell’imputato, mentre nel secondo una perizia aveva dimostrato che la vittima non fosse stata affetta da patologie psichiche da impedirle una reazione.

La decisione del giudice

Il giudice per l'udienza preliminare aveva però in entrambi i casi respinto la richiesta di archiviazione e ordinato ai pubblici ministeri di formulare l'imputazione. L'imputato aveva allora deciso per il rito abbreviato e offerto subito 10mila euro alla ragazza perché dispiaciuto "per come lei aveva vissuto l’esperienza".

Così la condanna a quattro anni di reclusione. Nelle motivazioni il giudice ha spiegato che "la condizione di inferiorità fisica e psichica – riporta il Corriere della Sera – prescinda da uno stato patologico di carattere organico e dunque non si ricolleghi automaticamente a deficienze psichiche, ma possa dipendere da situazioni ambientali o fattori traumatici tali da impedirle di respingere efficacemente gli atti sessuali dell’agente e di esprimere un valido consenso".

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