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Treviglio, l’azienda la pedina durante la malattia, poi la licenzia: giudice reintegra impiegata

Si era fatta operare per un problema al polso sinistro, tornando ad una vita pressoché normale dopo qualche giorno di immobilizzazione totale, su consiglio medico. Eppure l’azienda per cui lavorava l’ha fatta pedinare e poi l’ha licenziata, asserendo che potesse tornare al lavoro. Il giudice però le ha dato ragione e il suo datore di lavoro ha dovuto reintegrarla, pagandole i mesi persi. La storia di Sonia Assanelli.
A cura di Filippo M. Capra
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In attesa del reclamo del ricorso in Cassazione da parte della sua azienda, Sonia Assanelli, impiegata di Sinergia, società milanese che fornisce servizi per la rete delle banche di credito cooperativo, la cui proprietà è recentemente cambiata, è tornata al lavoro. Per farlo, ha dovuto vincere una prima causa contro i suoi datori di lavoro che l'accusavano di essersi presa la malattia per un intervento alla mano sinistra usata per fare sforzi durante i 60 giorni (30 + 30) di prognosi.

Si opera, azienda la pedina e la licenzia: reintegrata

Come riportato dal Corriere della sera, l'Assanelli, impiegata del quadro direttivo di primo livello, è stata operata il 23 novembre del 2017 al polso della mano sinistra. Ma tra l'operazione e il suo rientro in ufficio, l'azienda per cui lavora apre un procedimento disciplinare nei suoi confronti che condurrà al licenziamento, arrivato il 9 marzo del 2018. Perché? Perché i suoi datori di lavoro, attraverso l'indagine di un'agenzia investigativa privata, hanno accertato come, al di fuori dell'impiego, svolgesse una vita normale. Sonia, infatti, dopo un primo periodo di immobilizzazione totale come da direttive dei medici ha ripreso ad utilizzare la mano sinistra, sollevando pesi, guidando, spingendo il carrello della spesa e, in una sola occasione, portare le bottiglie dell'acqua. Per questo motivo, l'azienda ha deciso di sollevarla dal suo incarico. Subito la lavoratrice ha quindi ricorso al giudice che un anno dopo, nel marzo del 2019, le ha dato ragione, in quanto "si evince con chiarezza che le attività denunciate non appaiono, ictu oculi, tali da pregiudicare la guarigione".

Vittoria anche in Appello, ma non per la privacy

Nessun problema nemmeno per il trasporto delle bottiglie dell'acqua: "È è successo solo una volta", scrive il giudice, condannando Snergia a reintegrare con effetto immediato la dipendente e a pagarle le mensilità perse. L'azienda però ricorre e chiede che vengano ascoltati gli investigatori e il ctu medico legale. Anche in Appello la sentenza non cambia: quanto fatto dall'Assanelli, "rientra fra le attività compatibili con un regolare decorso post-intervento, rappresentando la progressiva e dovuta mobilizzazione dell’arto interessato, come consigliato in sede specialistica" e "non configurano alcun pregiudizio alla guarigione". La dipendente aveva poi lamentato anche una violazione della propria privacy, ipotesi respinta dai magistrati perché "il datore di lavoro può rivolgersi ad agenzie investigative, purché queste non sconfinino nella vigilanza dell’attività lavorativa riservata direttamente al datore di lavoro e ai suoi collaboratori".

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