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Tod’s indagata per caporalato: la Procura di Milano chiede il divieto di pubblicizzare i prodotti per 6 mesi

Tre manager di Tod’s e la stessa società sono indagate a Milano per caporalato. La Procura inoltre ha chiesto il divieto di pubblicizzare i loro prodotti per sei mesi.
A cura di Ilaria Quattrone
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Tre manager di Tod's spa e la stessa società sono indagati per caporalato dalla Procura di Milano. Gli inquirenti, già a ottobre scorso, avevano chiesto l'amministrazione giudiziaria per l'azienda perché accusata di non aver controllato la catena di subappalti della produzione che sarebbe avvenuta in opifici cinesi, in cui i lavoratori erano sfruttati e vivevano in condizioni di "para-schiavitù". Oggi, però, la Procura contesta che i manager e la società fossero in realtà consapevoli di quanto avveniva all'interno dei laboratori.

Dopo l'inchiesta di ottobre, si era in attesa della decisione della Corte di Cassazione proprio sull'amministrazione giudiziaria: le indagini si sarebbero concentrate anche sul territorio marchigiano e ne è nato un problema della competenza territoriale sul quale gli Ermellini devono adesso esprimersi. Ora il pubblico ministero di Milano, Paolo Storari, che coordina le indagini e ha seguito diverse inchieste sul caporalato nel settore dell'alta moda, ha iscritto i tre manager e dirigenti Simone Bernardini, Mirko Bartoloni e Vittorio Mascioni al registro degli indagati per caporalato e la stessa società. Quest'ultima sulla base di quanto stabilito dalla legge 231 relativa alla responsabilità amministrativa degli enti.

Ha chiesto inoltre al giudice per le indagini preliminari Domenico Santoro un'interdittiva per Tod's. In particolare ha richiesto di non permettere alla casa di moda di pubblicizzare i propri prodotti per sei mesi. Gli inquirenti avrebbero individuato non solo responsabilità omissive, ma anche ipotesi dolose.

A Tod's è contestata una "colpa organizzativa grave" al limite dell'atteggiamento "doloso" e l'assenza di modelli che avrebbero potuto prevenire il reato di caporalato. Inoltre non si sarebbe tenuto conto dei risultati di alcune ispezioni, avvenute negli opifici cinesi, e di "audit" su quei fornitori che, tra il 2023 e quest'anno, avrebbero dato atto di diversi indici di sfruttamento dei lavoratori.

In particolare, avrebbero fornito elementi su orari di lavoro, paghe, norme di sicurezza e condizioni alloggiative degradanti. Come era emerso a ottobre e stando alle carte che Fanpage.it aveva potuto visionare, gli operai per produrre mocassini dal valore di 750 euro sarebbero stati pagati 2,75 euro all'ora. Non solo. Sempre l'inchiesta di ottobre aveva mostrato che gli stessi operai avrebbero pagato 150 euro per dormire in fabbrica e cento euro per mangiare.

Secondo la Procura, l'azienda sarebbe stata consapevole delle "condizioni di sfruttamento" nei confronti di 52 lavoratori che lavoravano in sei opifici. L'udienza in cui il gip deciderà sull'interdittiva è stata fissata per il 3 dicembre.

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