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Perché il ministero della Giustizia sta facendo delle verifiche sul permesso di lavoro di Emanuele De Maria

Al vaglio del Ministero della Giustizia il caso di Emanuele De Maria, detenuto per aver sgozzato una 23enne nel 2016 e con il permesso di uscire dal carcere per lavorare come receptionist in un hotel a Milano. Il legale: “Da Bollate solo relazioni positive”
A cura di Francesca Del Boca
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È finito direttamente negli uffici del Ministero della Giustizia il dossier che riguarda il caso di Emanuele De Maria, detenuto a Bollate per aver sgozzato una 23enne nel Casertano nel 2016 e con il permesso di uscire dal carcere per lavorare come receptionist in centro a Milano. L'uomo, morto suicida lanciandosi dal Duomo domenica 11 maggio, era ricercato per l'accoltellamento di un 51enne fuori dall'Hotel Berna di Milano, dove entrambi erano impiegati: prima ancora aveva ucciso un'altra dipendente dell'albergoChamila Wijesuriya, sparita venerdì e trovata morta ieri tra le sterpaglie del Parco Nord a Cinisello Balsamo.

A chiedere al ministro Carlo Nordio di esaminare il caso è stato Maurizio Gasparri, capogruppo di Forza Italia in Senato. "È necessaria un'ispezione sulle strutture giudiziarie che sono responsabili dei permessi concessi a Emanuele De Maria, il 35enne napoletano che si è suicidato a Milano in mezzo alla folla dopo aver compiuto ulteriori delitti", sono state le sue parole. "È incredibile che una persona responsabile di un femminicidio abbia potuto fruire di permessi, utilizzando i quali ha commesso altri gravissimi delitti e si è suicidato con modalità che avrebbero potuto causare ulteriori tragedie. Le valutazioni della magistratura sono state evidentemente sbagliate, ed è necessario individuare le colpe e sanzionare chi ha commesso un errore così grave".

"È un fatto completamente inimmaginabile, non aveva mai dato alcun segno di squilibrio e si trovava in regime di lavoro all'esterno sia per il comportamento modello tenuto in carcere quanto per il percorso di consapevolezza mostrato sul reato commesso", ha dichiarato intanto l'avvocato Daniele Umberto Tropea, legale di De Maria. Il detenuto, era stato condannato a 15 anni di carcere per omicidio volontario (con sconto di un terzo della pena per il rito abbreviato, e senza nessuna aggravante contestata per quello che fu considerato un "atto d'impeto" durante una lite, e ridotta in secondo grado a 12 anni) per l'omicidio di una 23enne, avvenuto nel 2016 in un hotel di Castel Volturno. Arrestato dopo due anni di latitanza nel 2018, in Germania, e trasferito dal carcere di Secondigliano (Napoli) prima a Rebibbia e poi a Bollate, nel 2023 il Tribunale di Sorveglianza di Milano gli aveva concesso il beneficio penitenziario (lavorando in regime di articolo 21) sulla base delle "relazioni completamente positive all'interno dell'area educativa del carcere".

Nessuna segnalazione, in questi due anni, neanche da parte dei gestori dell'Hotel Berna dove De Maria, impiegato come receptionist, lavorava durante il giorno per fare ritorno di sera in carcere. Chamila Wijesuriya, invece, lavorava al reparto caffetteria, così come il collega 50enne Hani Fouad Abdelghaffar Nasra, accoltellato all'alba di sabato. "Capisco lo sconforto, perché indubbiamente è difficile da spiegare ai cittadini come, dopo un omicidio, la condanna sia da 14 anni e, dopo non molti anni, il condannato possa uscire". Così ha dichiarato il sindaco di Milano Beppe Sala. "Queste sono le leggi, però. Certamente è una faccenda molto cruenta".

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