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Perché il clochard invalido non ha avuto la casa popolare nonostante la causa con il Comune: “Non poteva pagare”

Giovanni, senza fissa dimora con un’invalidità riconosciuta al 50 per cento, è stato sfrattato dal dormitorio dove dormiva. Dopo che gli è stata rifiutata la richiesta di accesso ai Sat, ha fatto causa al Comune di Milano. Le motivazioni del rigetto dell’alloggio.
A cura di Giulia Ghirardi
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"Non ha impiego" dunque "non può pagare il canone dell’alloggio". È stato questo il verdetto del Consiglio di Stato a cui si è rivolto il Comune dopo che Giovanni (nome di fantasia), senza fissa dimora con un'invalidità riconosciuta al 50 per cento e diversi ricoveri ospedalieri alle spalle, ha fatto causa al Comune di Milano quando che si è visto negare la richiesta di accesso ai Sat (gli alloggi dei Servizi abitativi transitori del Comune). Il rigetto è stato motivato con un paradosso: "La sua è emergenza sociale, non abitativa".

Tutto è iniziato quando Giovanni è stato sfrattato dal dormitorio dove passava le sue notti e non ha potuto partecipare al bando per l'assegnazione di una casa popolare perché ricoverato in seguito a un infarto. L'uomo ha quindi fatto richiesta di accesso ai Sat che, però, gli è stata negata. Per questo ha deciso di fare causa al Comune di Milano che, di nuovo, ha confermato il rigetto dell'alloggio. Giovanni mangia alla mensa della Caritas, dorme per strada, dove capita. Vorrebbe cambiare vita, ma "non ha alcuna possibilità di procurarsi una soluzione abitativa alternativa alla strada non godendo di reddito sufficiente, ma la richiesta di accesso ai Sat è stata negata, così come è stato rigettato il successivo ricorso, in quanto sarebbe persona sola, in attività lavorativa, che potrebbe provvedere alle proprie esigenze e reperire una soluzione abitativa autonomamente", ha scritto il Tar.

Il Comune ha poi confermato a Fanpage.it che per avere un alloggio temporaneo è necessario accertare "i requisiti e le condizioni di emergenza-urgenza della persona", che, nel caso di Giovanni, non sembrano esserci avendo l'uomo dimostrato "soltanto" una situazione di emergenza sociale. Inoltre, dal momento che l'uomo non ha impiego, "non potrebbe pagare il canone dell’alloggio Sat come previsto dalla legge". Nonostante quindi i giudici replichino che l'emergenza sociale non costituisca una "legittima ragione di rigetto dell’istanza", il Consiglio di Stato a cui si è rivolto il Comune ha confermato che "il Sat non è finalizzato alla tutela di situazioni diverse da quella di grave emergenza abitativa". Da qui il verdetto: "Pur versando in una condizione di fragilità economica e vulnerabilità" Giovanni non si troverebbe "in una condizione di emergenza abitativa sopravvenuta, improvvisa e transitoria non altrimenti fronteggiabile ed equiparabile a quella dei nuclei familiari privi di un qualsivoglia alloggio".

Così, il paradosso della vicenda è che, nonostante Giovanni versi in una situazione di emarginazione e di emergenza sociale – la quale richiederebbe una soluzione temporanea per consentire il recupero dell’autonomia abitativa – non lo è abbastanza per ricevere un alloggio. La domanda che sorge spontanea, a questo punto, è: quando è abbastanza? Quando si può parlare di un'emergenza "abbastanza" grave da poter essere considerati "degni" di aiuto? In definitiva: quando (se davvero c'è differenza) l'emergenza sociale diventa abitativa? 

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