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“Ogni giorno devo dirmi di non giocare, nelle bische mi sono devastato”: Nicolò racconta la lotta alla ludopatia

Nicolò (nome di fantasia) ha iniziato a giocare d’azzardo da giovanissimo e da undici anni, grazie al programma di giocatori anonimi, non lo fa più: “Quando giochi non sei conscio, anzi. Pensi che, attraverso la vincita, riuscirai a risolvere tutti i problemi della vita”, racconta a Fanpage.it.
A cura di Ilaria Quattrone
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Nicolò (nome di fantasia) ha iniziato a giocare d'azzardo da giovanissimo e da undici anni, grazie al programma di giocatori anonimi ‘La trappola dell'azzardo di Avviso Pubblico', non ha più partecipato a nessun tavolo verde: "Sono undici anni di astinenza. Adesso sono consapevole di quello che mi è accaduto e che stava per succedere. Quando giochi non sei conscio, anzi. Pensi che, attraverso la vincita, riuscirai a risolvere tutti i problemi della vita", racconta a Fanpage.it.

"A me è sempre piaciuto giocare, fin da piccolo. C'era già qualcosa che non andava in me. A 16-17 anni giocavo a poker con gli amici quando loro perdevano andavano a casa tranquilli. Io invece non accettavo la sconfitta: volevo sempre rifarmi. Ho iniziato a non avere il controllo, a non essere una persona sociale. È una cosa che hai dentro, che non hai deciso tu. Su cinque amici, gli altri riuscivano a controllarsi mentre io no".

"A me piaceva giocare poi si è trasformato in azzardo. Non ho mai pensato: ‘vinco e faccio un viaggio'. Magari immaginavo cosa avrei potuto fare con quei soldi, ma in realtà – ed è lì che sviluppa la malattia – i soldi che vincevo, li tenevo per me. Ho sviluppato dinamiche molto brutte: sono diventato egoista, prepotente e permaloso".

"Ho iniziato a passare più ore al gioco inseguendo l'emozione della vittoria. Quell'emozione mi ha fatto ammalare, per rincorrerla sono diventato compulsivo e ho perso il controllo del gioco. È come una droga: non riesci a fermarti. L'assurdo è che uno si deve ammalare per capirlo".

La ludopatia ha distrutto i rapporti familiari: "Butti per aria tutto e tutti. Ti devasti, ma non sei una persona cattiva. Non sei quello lì: è il gioco che ti fa diventare così. A livello sanitario è considerata una malattia mentale che colpisce animo, corpo e mente che ti porta alla follia e anche alla morte".

Nicolò ha poi deciso di affidarsi al programma ‘La trappola dell'azzardo di Avviso Pubblico': "Sono andato per puro caso. La prima volta non mi sono fermato subito. Non ero pronto, nonostante sapessi che fosse una cosa buona. Quando sono tornato la seconda volta, nel 2012, non ho più giocato".

"Sono riuscito a recuperarmi un giorno alla volta. Il gioco è stato un grande compagno, mi ha sia aiutato che distrutto. Mi ha aiutato perché non avevo amici, ma mi ha distrutto perché ho passato tanto tempo in sua balia. Ho giocato per trent'anni: andavo nelle bische clandestine e i soldi che guadagnavo, li giocavo".

"Non mi sono ammazzato perché ero una persona molto vigliacca. Quando sono entrato in giocatori anonimi, ho dovuto rispondere alle cosiddette venti domande. Nell'ultima viene chiesto: hai mai tentato il suicidio? Sai quante volte ho perso tutto e che pensieri ho fatto?".

"Il percorso dura tutta la vita. Ogni giorno devi dirti: ‘Non gioco'. È un programma su base giornaliera. Quando si inizia, l'aspettativa è molto alta. Dirsi non giocherò mai più fa paura. Ripeterselo giorno per giorno, è più semplice".

Ovviamente questi undici anni di percorso non è stato semplice: "È stata molto dura. Ho iniziato ad ascoltare i consigli basilari: andare in giro con pochi soldi, non accendere il televisore dove vengono date le quote di calcio, non frequentare i posti in cui si gioca. Non possiamo però dire che non devono esserci le pubblicità o che sia colpa dello Stato: il gioco è sempre esistito, il problema è nella nostra testa".

Per Nicolò le cose sono migliorate. Anche i figli lo hanno perdonato: "Sono una persona fortunata. Mi ritengo un miracolato". Adesso aiuta chi decide di seguire il programma: "Nessuno verrà mai giudicato. Ci possono dire di aver giocato qualsiasi somma. Sappiamo che è la malattia a portarti a mentire o a rubare. Non ti diamo un'alibi, ma ti diciamo che quelle cose le abbiamo fatte anche noi prima di te. Io mi ritengo una brava persona. La gente, in questo modo, decide di rimanere".

"All'inizio però hanno tutti una grande euforia che poi viene spenta. Uno dei consigli che diamo è: ‘Se stai male, chiama'. Inizialmente siamo noi a cercare le persone. Dopo due-tre settimane devono essere loro a farlo. Dopo due-tre mesi, quasi tutti si sentono guariti scompaiono. Noi diciamo che se ci si allontana, si ricade: "Tu ti dimentichi della malattia, ma la malattia non si dimentica di te".

"C'è anche uno sponsor, che è una persona che è più avanti di te nel percorso. Serve per spiegarti come ha fatto lui a superare quella difficoltà". Ma come fare a riconoscere i sintomi?: "C'è un problema quando iniziano a mancare i soldi in casa, quando inizi a dire le bugie, quando diventi iroso e prepotente".

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