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Nava, super testimone dell’omicidio Livatino: “I miei figli hanno cambiato 5 cognomi, ma lo rifarei”

A quasi 30 anni esatti dall’omicidio del giudice Rosario Livatino, la città di Lecco ha voluto premiare il super testimone Piero Nava, che grazie alla sua testimonianza fece arrestare i due killer. Purtroppo però Nava, oggi 71enne, non ha potuto ritirare di persona la medaglia: “A Lecco ho lasciato tutto. La mia vita di prima non c’è più. Senza un passato, sono nessuno”, dice Nava a Fanpage.it raccontando 30 anni di vita in incognito. “I miei figli hanno avuto cinque cognomi diversi, ma hanno sempre capito”. Nonostante tutto Nava non ha rimpianti: “Testimonierei ancora”. E sul recente permesso premio concesso a uno dei mandanti dell’omicidio dice: “Se glielo hanno concesso avranno avuto le loro buone ragioni”.
A cura di Giorgia Venturini
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Il giudice Rosario Livatino, assassinato il 21 settembre del 1990
Il giudice Rosario Livatino, assassinato il 21 settembre del 1990

La città di Lecco lo ha premiato due volte: la prima nel 1998, la seconda martedì sera. Ed entrambe le volte la medaglia non è mai stata consegnata. Perché Piero Nava, il super testimone dell'omicidio del giudice Rosario Livatino, nella sua città in trent'anni ci è tornato di rado e per pochi minuti: giusto il tempo di deporre un mazzo di fiori sulla tomba dei suoi genitori e via. Senza fare visita ad amici e parenti e, soprattutto, stando ben attento a non farsi riconoscere. "A Lecco ho lasciato tutto. La mia vita di prima non c'è più. Senza un passato, sono nessuno", racconta Piero Nava, 71 anni, a Fanpage.it.

Non ho sentito lo sparo, ma ho visto tutto

C'è un prima e un dopo nella vita di Nava. Nel mezzo, quello che ha visto la mattina del 21 settembre del 1990 lungo la superstrada Canicattì-Agrigento. Nava, con una bella carriera da rappresentante, era in anticipo quella mattina: "Non era mia abitudine arrivare tardi a un appuntamento con un cliente. Così, anche quella volta, mi sono messo in macchina per tempo". A decidere il suo destino, è una delle gomme della sua auto: lungo la strada si buca e costringe Nava a rallentare, ma non a fermarsi. Proprio per quella sua velocità ridotta riesce a guardare bene in faccia i due uomini che, in sella a una moto, lo sorpassano. Saranno gli stessi che qualche metro più in là vedrà fermi a lato della strada a fianco di due macchine: è uno dei due motociclisti a impugnare la pistola e a sparare al giudice. "Ero in auto. Non ho sentito nessuno sparo, ma ho visto tutto", racconta Nava. "Non ho pensato neanche per un secondo a non andare a testimoniare. Come avrei potuto leggere i giornali e non far nulla? Era contro l'educazione che ho ricevuto. Da quel giorno ho abbracciato la mia croce, come si fa ogni volta che si prende una decisione". Dopo quel 21 settembre Nava lascia il lavoro e sparisce insieme alla compagna, alla figlia e al figlio.

I miei figli hanno avuto cinque cognomi diversi

In trent'anni la famiglia di sposta nove volte tra estero e Italia: "I miei figli hanno avuto cinque cognomi diversi. Hanno sempre capito, non mi hanno mai tradito. Non hanno mai raccontato nulla, neppure ai loro amici più stretti. Non hanno mai provato rancore, anche quando dicevo loro di non salutare nessuno e di fare le valige che il giorno dopo saremmo ripartiti". E così ha fatto anche lui: "Ho imparato a stare da solo, e ci sto bene. Perché quando passi una vita a nasconderti, fai fatica a stringere amicizie. Dovresti se no rispondere a troppe domande".

Sono libero di scegliere. Allo Stato comunico solo il nuovo indirizzo

In tutti questi anni è stato Nava a decidere i suoi spostamenti: "Sono sempre stato libero di scegliere dove andare". Allo Stato, che lo ha supportato economicamente, comunicava solo il nuovo indirizzo: "Perché all'epoca dei fatti non esisteva ancora un programma di protezione dei testimoni. Anzi, quando parlavo con magistrati e forze dell'ordine ripetevo loro che non ero un collaboratore, ma una uomo che è sempre stato dalla parte dello Stato".

Testimonierei ancora

Oggi Piero Nava è un uomo sereno. Non si volta mai indietro e ha fatto sua una frase che gli ripeteva sempre la madre: "Quello che Dio vuole". Per questo non ha nessun rimpianto: "Testimonierei ancora". Anche quando un mese dopo l'omicidio arrestano i due killer Domenico Pace e Paolo Amico in Germania e nella tasca di uno dei due trovano un pizzino con scritto: "Piero Nava. Luogo di nascita: Sesto San Giovanni". Anche quando lunedì scorso, a pochi giorni dal trentesimo anniversario della morte del giudice, all'ergastolano Giuseppe Montanti, riconosciuto in via definitiva nel 1999 come mandante dell'omicidio, è stato concesso il primo permesso premio di nove ore per incontrare suo figlio in una località segreta: "Non sono io a dover giudicare se è giusto o sbagliata questa decisione. Se gli hanno concesso il permesso vuol dire che hanno avuto le loro buone ragioni. Oggi non odio nessuno".

Io sono nessuno

Nava martedì sera si è collegato telefonicamente con Lecco per ricevere "virtualmente" la benemerenza della città alla presenza del sindaco Virginio Brivio, di Rosy Bindi, già presidente della Commissione parlamentare antimafia, e a Stefano Scaccabarozzi, Lorenzo Bonini e Paolo Valsecchi, gli autori del libro "Io sono nessuno", in cui Nava per la prima volta racconta di sé, presentato durante l'evento. Perché sarà forse vero che Nava si sente "una persona senza un passato", ma passerà alla storia per essere stato il primo super testimone d'Italia. "Nei miei ricordi conserverò sempre un messaggio di mia figlia: ‘Per gli altri forse tu non sei nessuno, ma per me resti sempre mio padre'", conclude Nava.

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