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Maschera licenziata per aver gridato “Palestina Libera”, condannato il Teatro alla Scala: dovrà risarcirla

Il Tribunale del Lavoro ha condannato il Teatro alla Scala di Milano al risarcimento di tutte le mensilità della maschera licenziata lo scorso 4 maggio. La lavoratrice era stata allontanata dopo aver gridato “Palestina libera” poco prima di un evento alla presenza della premier Giorgia Meloni.
A cura di Enrico Spaccini
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Foto da LaPresse
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Il Teatro alla Scala di Milano è stato condannato dal Tribunale del Lavoro per il "licenziamento illegittimo" della maschera che lo scorso 4 maggio, prima di un concerto alla presenza della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, aveva gridato mentre era in servizio "Palestina libera". Lo ha reso noto il presidente del sindacato Cub, Roberto D'Ambrosio: "La lavoratrice sarà risarcita di tutte le mensilità che intercorrono dal licenziamento alla scadenza naturale del contratto" e, inoltre, "il Teatro dovrà anche coprire le spese di lite".

Lo scorso 4 maggio al Teatro alla Scala di Milano si stava tenendo il concerto inaugurale della 58esima assemblea dell’Asian Development Bank, un evento non aperto al pubblico organizzato dal ministero dell'Economia e delle Finanze. La banca in questione ha tra i suoi membri Israele e come rappresentante che cura i rapporti tra Adb e lo stato ebraico Bezalel Smotrich, un esponente dell'estrema destra israeliana.

Poco prima dell'inizio della serata, una maschera aveva gridato "Palestina libera". "È stato un gesto di disobbedienza civile perché la Scala è indifferente e quindi complice davanti al genocidio palestinese", aveva dichiarato la giovane lavoratrice che, in seguito a questo episodio, era stata espulsa dal Teatro e poi licenziata.

Affiancata dal Cub e dall'avvocato Villari, la maschera aveva presentato ricorso contro il licenziamento. Oggi, giovedì 27 novembre, il sindacato con una nota ha fatto sapere che il Teatro alla Scala è stato condannato al risarcimento di tutte le mensilità fino alla scadenza naturale del contratto della giovane e a coprire le spese di lite. "Abbiamo sostenuto fin dall'inizio che gridare ‘Palestina libera' non è reato, e che i lavoratori non possono essere sanzionati per le loro opinioni politiche", ha spiegato D'Ambrosio, secondo il quale la decisione del Tribunale del Lavoro confermerebbe che si sia "trattato di un licenziamento politico". L'invito finale rivolto alla Scala è il "rinnovo del contratto, per evitare altre cause".

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