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Manca ancora il protocollo antimafia per le Olimpiadi, Dolci (Dda): “La politica è sorda”

A quattro anni dalla Olimpiadi a Milano i cantieri – seppur in ritardo – stanno per essere avviati. Ma qui manca ancora un protocollo antimafia specifico che eviti l’infiltrazione della mafia negli appalti. Cosa sta succedendo? A spiegare tutto a Fanpage.it è la procuratrice capo della Dda di Milano Alessandra Dolci.
Intervista a Alessandra Dolci
Procuratore aggiunto a capo della Direzione Distrettuale Antimafia di Milano
A cura di Giorgia Venturini
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A Milano si scava da alcune settimane. Le bonifiche sono già iniziate. I cantieri per le Olimpiadi 2026 seppur in ritardo sono già iniziati. A Milano però manca ancora un protocollo antimafia che regoli e impedisca le infiltrazioni mafiose negli appalti e subappalti. La politica lo ha chiesto, ma nessuno (né Lombardia né Veneto) si sta attivando veramente. Perché? Perché sindaci e governatori non si attivano? Cosa sta accadendo? Ha spiegato tutto a Fanpage.it la procuratrice a capo della Direzione Distrettuale Antimafia di Milano Alessandra Dolci.

Perché manca ancora un protocollo antimafia per la costruzione delle infrastrutture necessarie per le Olimpiadi  Milano-Cortina 2026?

Qualcuno lo ha richiesto. Però mi sembra che ci sia una parte, forse la parte politica, che è sorda. Peraltro bisogna precisare che gli investitori sono investitori privati, quindi vi è una differenza sostanziale rispetto all'altro grande evento di Milano, Expo. Le stazioni appaltanti sono fondi immobiliari, società quotate: quindi è una parte privata andrebbe comunque coinvolta dalle istituzioni per sottoscrivere un protocollo di legalità. È necessario un protocollo di legalità che si applica anche a contratti di natura privatistica.

Cosa dovrebbe prevedere protocollo antimafia per le Olimpiadi? 

Le aziende devono chiedere ai propri subappaltatori la documentazione antimafia. Una prassi virtuosa è quella, per esempio, di imporre ai subappaltatori che si occupano di smaltimento e movimento terra di dotare i propri camion di un GPS, in modo da avere la possibilità di verificare che i rifiuti siano effettivamente smaltiti in modo legale.

Chi dovrebbe spingere perché questo protocollo venga realizzato il prima possibile, considerando che i lavori di bonifica sono già iniziati? 

Credo che se la parte politica deve impegnarsi a fare in modo che gli investitori privati sottoscrivano il prima possibile un protocollo antimafia. Dovrebbe essere un impegno politico comune alle due regioni coinvolte.

I possibili pericoli connessi alla mancanza di un protocollo ah hoc sono già diventati realtà con una delle ultime inchieste della Direzione Distrettuale Antimafia di Milano. La ‘ndrangheta ha quindi già messo le sue mani sulle Olimpiadi?

Abbiamo documentato che una società – secondo la nostra impostazione accusatoria – intestata a prestanome, stava operando nello scalo di Porta Romana. Si stava occupando dell'attività di demolizione e trasporto inerti. Questa dimostrare che l'aggiramento è abbastanza semplice: questo consente a persone che sono stati coinvolti in indagini di ‘ndrangheta di operare in quello che è considerato il loro settore storico, ovvero quello del movimento terra e dello smaltimento degli inerti.

Per le Olimpiadi si parla molto di adottare lo stesso protocollo antimafia sottoscritto per Expo. È sicura che sia un modello positivo?

Ho trovato molto interessante alcuni aspetti del vecchio protocollo Expo, che in effetti aveva dato ottimi risultati perché prevedeva un controllo sistematico sui cantieri e sui loro accessi. Potevamo contare su una banca dati, quindi una piattaforma informatica, con tutte le informazioni delle società appaltatrici coinvolti e di tutte le persone che accedevano ai cantieri. Era fondamentale perché ci consentiva, anche a posteriori, una chiave di lettura. A posteriori abbiamo comunque accertato un caso di infiltrazione mafiosa. Ricordo che in una nostra indagine – che è seguita all'evento – abbiamo documentato che alcuni appalti erano finiti a un consorzio di cooperative che faceva capo a un indagato vicino a Cosa Nostra. Ma è stato l'unico caso.

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