Leoncavallo, la rabbia il giorno dopo lo sfratto improvviso: “Milano è diventata un manichino vuoto”

C'è un effetto straniante nel camminare intorno al centro sociale Leoncavallo dopo lo sfratto di giovedì mattina. Non ci sono gli attivisti che, nonostante il pieno agosto e la pioggia battente, hanno protestato contro l'operazione di sfratto e l'imponente dispositivo di ordine pubblico che ha permesso alla proprietà della struttura di rientrarne in possesso, dopo anni di attese e di rinvii.
Addio a via Watteau
Restano invece forti le polemiche politiche tra gli schieramenti e la delusione degli attivisti che per anni hanno animato lo storico centro sociale di Milano, fondato nel 1975 e in via Watteau dal 1994. Lo sfratto, atteso da anni e rinviato dopo l'ultima visita dell'ufficiale giudiziario, era atteso per il 9 settembre. La decisione di anticipare in pieno agosto – il Comune è stato avvisato dalla Prefettura solo a ridosso dell'operazione – ha colto la città di sorpresa: "È stato brutto, emotivamente molto brutto" racconta a Fanpage.it Marina Boer, presidente dell'associazione Mamme antifasciste del Leoncavallo, cuore del centro sociale che sin dall'inizio è stato capace di attirare anche i meno giovani.
Quale futuro per il Leoncavallo
Senza la sede di via Watteau e in attesa di una nuova destinazione, come la struttura del Comune di via San Dionigi, per cui si aspettano un bando e la bonifica, i prossimi mesi non saranno facili per il Leoncavallo: "Dobbiamo costruire una continuità e portare avanti le nostre idee, ma non rinunciamo. Sapevamo che non avevamo più tanto tempo e per questo fin dall'inizio abbiamo chiesto un tavolo con Comune e Prefettura, poteva esserci più collaborazione" ci spiega Boer.
Collaborazione che evidentemente non c'è stata, con il sindaco Beppe Sala che non è stato avvisato, mentre il ministro dell'Interno Matteo Piantedosi festeggiava: "Lo sgombero del centro sociale Leoncavallo segna la fine di una lunga stagione di illegalità. Per trent’anni quell’immobile è stato occupato abusivamente" ha commentato in una nota.
Dichiarazioni che non sorprendono Marina Boer: "Ce lo aspettavamo ovviamente, non vedevano l'ora, è un uso politico della situazione, è un atteggiamento di chiusura per non doversi confrontare".
Sullo sfondo c'è la città di Milano che cambia, oggetto delle inchieste sull'urbanistica, e che non riesce più a tenere unite le sue anime: "Milano è stata una fucina dopo la guerra, di cultura e di idee, è diventata un manichino vuoto, si può costruire se si rende vivibile la città, ma se il costruire serve a creare cartoline vuote, è solamente una questione di profitto", conclude Boer.