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La lettera di Ambrosoli alla moglie prima di essere ucciso: “Qualunque cosa succeda, sai cosa fare”

“Qualunque cosa succeda, comunque, tu sai che cosa devi fare e sono certo saprai fare benissimo. Dovrai tu allevare i ragazzi e crescerli nel rispetto di quei valori nei quali noi abbiamo creduto”. Questo è uno dei passaggi più toccanti della lettera che Giorgio Ambrosoli, il commissario liquidatore della Banca privata italiana assassinato nel luglio del 1979 da un sicario assoldato da Michele Sindona, proprietario della stessa Bpi, scrisse nel febbraio del 1975 alla moglie Anna. Forse colto da un fosco presagio, Ambrosoli poco prima di depositare lo stato passivo della Bpi sentì il bisogno di rivolgersi all’amata moglie, senza tuttavia consegnarle mai la lettera. La missiva è diventata il testamento spirituale dell’eroe “borghese”, ucciso per aver fatto il suo dovere senza cedere a pressioni e favoritismi.
A cura di Francesco Loiacono
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Giorgio Ambrosoli
Giorgio Ambrosoli

Un lontano e fosco presagio. O forse solo la consapevolezza di essere giunto a un punto fondamentale della propria vita, e il bisogno di confidarsi con la persona che più sentiva vicina, senza però gravarla del peso di tale confessione. Si può interpretare così, forse, la lettera che Giorgio Ambrosoli, l'avvocato ucciso da un killer assoldato dal banchiere Sindona la notte dell'11 luglio del 1979, scrisse alla moglie Anna, per tutti Annalori.

La missiva reca la data del 25 febbraio 1975, quattro anni prima dell'assassinio di Ambrosoli. Non è una data qualsiasi: proprio quel giorno l'avvocato Ambrosoli, nominato nel 1974 commissario liquidatore della Banca privata italiana di Sindona, si apprestava a depositare dopo un lavoro enorme e condotto sempre in modo rigoroso, senza cedere a pressioni di ogni sorta, lo stato passivo della Bpi. Un documento che avrebbe certificato la gestione oscura della Banca e avrebbe assestato un duro colpo a Sindona e al sistema di potere che il banchiere siciliano di Patti aveva instaurato grazie a connivenze politiche e a intrecci con la criminalità organizzata.

Ambrosoli sente il bisogno di mettere nero su bianco le sue sensazioni, in un momento così delicato. E si rivolge alla moglie Anna in quella che diventerà una sorta di suo testamento spirituale, un documento unico per i famigliari ma soprattutto per tutti coloro che credono in quei valori come l'onestà e il senso del dovere, incarnati appieno da colui che Corrado Stajano ribattezzò l'eroe “borghese”.

Il testo della lettera

All'inizio della lettera Ambrosoli esamina il particolare momento che sta vivendo, in bilico tra il ridimensionamento delle sue paure “Non ho timori per me perché non vedo possibili altro che pressioni per farmi sostituire” e la consapevolezza che, però, qualcosa di grave potrebbe accadere: “È indubbio che, in ogni caso, pagherò a molto caro prezzo l'incarico”.

Anna carissima, è il 25.2.1975 e sono pronto per il deposito dello stato passivo della BPI, atto che ovviamente non soddisferà molti e che è costato una bella fatica. Non ho timori per me perché non vedo possibili altro che pressioni per farmi sostituire, ma è certo che faccende alla Verzotto e il fatto stesso di dover trattare con gente di ogni colore e risma non mi tranquillizza affatto. È indubbio che, in ogni caso, pagherò a molto caro prezzo l'incarico: lo sapevo prima di accettarlo e quindi non mi lamento affatto perché per me è stata un'occasione unica di fare qualcosa per il paese.

La seconda parte della lettera è il testamento civile di Ambrosoli. Frasi come: “A quarant'anni, di colpo, ho fatto politica e in nome dello Stato e non per un partito” e “ho sempre operato – ne ho la piena coscienza – solo nell'interesse del paese”, restituiscono la statura morale di Ambrosoli, un uomo che ha fatto il suo dovere fino in fondo senza piegarsi a pressioni o favoritismi.

Ricordi i giorni dell'UMI, le speranze mai realizzate di far politica per il paese e non per i partiti: ebbene, a quarant'anni, di colpo, ho fatto politica e in nome dello Stato e non per un partito. Con l'incarico, ho avuto in mano un potere enorme e discrezionale al massimo e ho sempre operato – ne ho la piena coscienza – solo nell'interesse del paese, creandomi ovviamente solo nemici perché tutti quelli che hanno per mio merito avuto quanto loro spettava non sono certo riconoscenti perché credono di aver avuto solo quello che a loro spettava: e hanno ragione, anche se, non fossi stato io, avrebbero recuperato i loro averi parecchi mesi dopo. I nemici comunque non aiutano, e cercheranno in ogni modo di farmi scivolare su qualche fesseria, e purtroppo, quando devi firmare centinaia di lettere al giorno, puoi anche firmare fesserie.

La terza parte della lettera è quella più toccante: Ambrosoli lascia da parte i tentativi di auto convincersi che non ci siano pericoli e si rivolge alla moglie e ai figli come un marito e un padre che, da un momento all'altro, potrebbe non tornare più a casa. È da questa parte della lettera che uno dei figli di Giorgio, Umberto, ha tratto il titolo del libro in cui ha raccontato ai suoi figli chi era il loro nonno, titolo poi utilizzato anche per una miniserie televisiva.

Qualunque cosa succeda, comunque, tu sai che cosa devi fare e sono certo saprai fare benissimo. Dovrai tu allevare i ragazzi e crescerli nel rispetto di quei valori nei quali noi abbiamo creduto […]. Abbiano coscienza dei loro doveri verso se stessi, verso la famiglia nel senso trascendente che io ho, verso il paese, si chiami Italia o si chiami Europa. Riuscirai benissimo, ne sono certo, perché sei molto brava e perché i ragazzi sono uno meglio dell'altro […]. Sarà per te una vita dura, ma sei una ragazza talmente brava, che te la caverai sempre e farai come sempre il tuo dovere costi quello che costi […].

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