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Katia “La Nera”, Rosy Bike e Pocahontas: chi sono le donne narcos che gestivano lo spaccio alla Barona

Intorno alla signora della droga della Barona una rete di spacciatrici, messaggere e custodi di denaro contante, cocaina e telefoni criptati. Katia Adragna, 46 anni, dal suo appartamento governava il narcotraffico di Milano sud per conto del clan Calajò: “Devo dare da mangiare alla mia famiglia”
A cura di Francesca Del Boca
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A capo c'era solo lei. Katia Elena Adragna, detta "La Nera" o "Mamacita", a cui la famiglia di narcos Calajò (vertici dell'organizzazione criminale della "Nuova Barona", i cui esponenti più rilevanti sono ora reclusi in carcere a Opera) aveva completamente affidato le redini dello spaccio di Milano sud. Era la 46enne, arrestata ieri insieme ad altre 18 membri della cellula criminale, a gestire in prima persona il mercato della droga che dalla base operativa della Barona riforniva l'intera città, dalle principali piazze di spaccio di Quarto Oggiaro, Baggio e Gratosoglio agli appartamenti di importanti politici e imprenditori milanesi.

Il clan della "Mamacita", la signora della cocaina alla Barona

Ma accanto alla signora della cocaina, secondo quanto ricostruito dalle indagini della Procura e dei Ros dei carabinieri, si muoveva un vero e proprio clan al femminile, una ragnatela articolata e studiata nel minimo dettaglio per garantire lo stoccaggio, il confezionamento e la vendita delle sostanze stupefacenti, oltre che l'occultamento dei fiumi di denaro contante derivati dal narcotraffico. Al suo fianco, insieme al braccio destro e addetto alla riscossione dei crediti "Adri" Carta, la fedelissima Laura Delbò, addetta alle consegne e ai trasporti dello stupefacente con la propria autovettura. Poi ancora Laura "Pocahontas" Aneli, Rosangela "Rosy Bike" Pecoraro, Patrizia "Patty" Di Cesare, Eleonora "Lelo" Foresti e un'altra decina di pusher, cosiddette "Glovo", "cavallini" regolarmente stipendiati con denaro contante e/o con quantitativi di stupefacente che, cammuffandosi da rider di cibo a domicilio, si occupavano della vendita al dettaglio di hashish e cocaina.

Fiumi di contanti, droga e cellulari criptati imboscati in decine di appartamenti

Ma non solo. Queste figure, all'interno della cellula criminale che domina la periferia sud di Milano, avrebbero avuto anche il ruolo di messaggere e custodi dei proventi illeciti, che avrebbero nascosto all'interno di una trentina di appartamenti ("addetti a imbosco") sparsi tra l'estrema periferia di Milano e la provincia. In primis Valentina Vasta, moglie di Luca Calajò, così come Antonia Minasi, che aveva messo a disposizione del clan la propria abitazione di Cesano Boscone per nascondere soldi e droga, o Isabel Carrozza, fedelissima della storica famiglia di malavitosi della Barona, che aveva offerto l'appartamento nelle campagne di Casarile (Pavia) come punto di ritrovo per i sodali e per la custodia dei cripto-telefonini utilizzati per le comunicazioni.

L'agenda rossa di Katia "La Nera": "Io ci mangio, non è un gioco"

E così ogni cifra spesa o incassata, ogni spostamento, ogni nominativo veniva puntualmente segnato all'interno di un'agenda rossa dalla penna della "Mamacita" che dalle case popolari di via Lope De Vega, su precisi ordini di Luca e Nazzareno Calajò, governava il mercato del narcotraffico. "Io ci mangio di questo, non è un gioco", si sfogava proprio Katia Adragna via chat, con un cliente che chiedeva uno sconto di 10 euro dopo la consegna a domicilio con un "delivery" espresso di droga. "Non lo faccio neanche per sport, è per portare da mangiare alla mia famiglia", le sue parole, intercettate dagli inquirenti. "Dieci euro alla volta di sconto, insomma, il "Glovo" è pure gratis…se volete la priorità e la fretta inizio a farlo pagare. Ditemi voi quanto devo mangiare allora, lo decidete voi".

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