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Il fidanzato di Viviana Caglioni era “troppo geloso per volerla uccidere”: bufera sulle parole dei giudici

Il pm di Bergamo ha fatto ricorso contro la sentenza di primo grado sulla morte di Viviana Caglioni, 34enne deceduta a seguito dei maltrattamenti del compagno. Nelle motivazioni è scritto che il fidanzato “agiva mosso da un senso di gelosia incompatibile con la volontà di ucciderla”. Il pm: “Asserzione sorprendente”.
A cura di Francesco Loiacono
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Viviana Caglioni
Viviana Caglioni

Sorpresa e polemiche sul caso della morte di Viviana Caglioni, 34enne deceduta il 6 aprile del 2020 a seguito dei maltrattamenti del fidanzato, Christian Locatelli. Quest'ultimo, 43enne che da allora è in carcere, in primo grado è stato condannato dalla Corte d'Assise di Bergamo a 18 anni più 3 di libertà vigilata per aver cagionato la morte "in conseguenza di maltrattamenti" di Viviana. Nelle motivazioni dei giudici Giovanni Petillo e Alice Ruggeri, come riporta il "Corriere della sera", è scritto che "Locatelli agiva mosso da un senso di gelosia e da un senso di possesso nei confronti di Viviana in sé incompatibile con la volontà di ucciderla".

Il pm contro i giudici: Asserzione sorprendente

Troppo geloso per volerne la morte, insomma. "Un’asserzione sorprendente, che è e resta del tutto isolata rispetto all’intero panorama giurisprudenziale italiano", afferma il pubblico ministero Paolo Mandurino, che chiedeva e continua a chiedere l'ergastolo per Locatelli sostenendo che quello nei confronti di Viviana sia stato un omicidio aggravato. "Significa di fatto affermare che mai un femminicidio potrebbe essere sorretto dal movente della gelosia, il che è (ovviamente) in contrasto non solo con ogni logica, ma anche con la consolidata (e da tempo) unanime esperienza giurisprudenziale", aggiunge Mandurino.

La difesa del fidanzato ne chiede l'assoluzione

Nella diatriba tra pm e giudici, che pure hanno riconosciuto i continui e pesanti maltrattamenti ai quali Locatelli sottoponeva Viviana, si aggiunge anche la difesa dell'imputato, che a sua volta ha impugnato la sentenza di primo grado chiedendo l'assoluzione perché, a loro dire, si trattò solo di un incidente. Viviana, con alle spalle problemi di tossicodipendenza e una vita difficile, dopo l'ennesimo pestaggio da parte del fidanzato era caduta, finendo in ospedale. È poi morta al Papa Giovanni XXIII di Bergamo dopo una settimana di agonia. Il fidanzato era stato arrestato soltanto un mese dopo, quando le indagini avevano accertato le sue responsabilità nell'accaduto.

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