Gli anni del Plastic a Milano, il racconto dello storico pr: dalla selezione all’ingresso alle notti con Loredana Bertè

Finisce qui la lunga avventura del Plastic, storica discoteca dal 1980 in viale Umbria e dal 2012 in via Gargano che oggi ha abbassato per definitivamente la saracinesca. E così chiude per sempre un simbolo della club culture alternativa che per 45 anni ha animato le notti di Milano e tra i suoi muri ha visto passare Freddie Mercury, i Pink Floyd, Andy Warhol, Grace Jones, e ancora Madonna, Prince, Elton John.
"È stato un luogo di sperimentazione e liberazione dei costumi, che apriva la mente attraverso la musica e l'espressione artistica. Una finestra su altri mondi che ha permesso a tanti creativi e intellettuali, art director, fotografi e registi di diventare ciò che sono adesso", racconta oggi a Fanpage.it Luca Crescenzi, art director, storico organizzatore di serate e eventi nonché temutissimo "door selector" all'ingresso del Plastic negli anni d'oro tra il 2005 e il 2012.
Il Plastic era celebre anche per la sua rigida selezione all'ingresso, in stile Studio 54 di New York. Ma quali erano i criteri?
Tanto era esclusivo all'esterno, quanto inclusivo all'interno. L'ambiente che frequentava il Plastic era assolutamente eterogeneo, dall'artista al musicista, dallo studente di architettura alla modella, dal travestito all'idraulico che nel fine settimana si vestiva con abiti femminili… e l'intento di una selezione così rigida, in fondo, era proprio quello di proteggere chi c'era dentro, di mantenere un equilibrio. Chi era nel locale si trovava davvero immerso in un altro mondo, un universo fluido – ma ancora non esisteva questo termine- e protetto dove chiunque poteva essere quello che voleva. Questa era la magia che ha sempre contraddistinto il Plastic. Non per niente non ho mai assistito a risse, contrasti, problemi.
Neanche fuori? Del Plastic era leggendaria anche la coda davanti alla porta…
Fuori sì! In viale Umbria, il venerdì e il sabato, c'era una calca da non passare con la macchina. Una folla oceanica con la gente che gridava, le auto che suonavano il clacson… mi lanciavano le scarpe, cercavano di impietosirmi con storie di ogni genere pur di entrare al Plastic. A un certo punto mi hanno messo su una pedana, per gestire tutta quella gente.
Quando inizia la tua avventura al Plastic?
Sono arrivato a Milano da Alessandria nei primi anni Novanta, richiamato dalle luci della città e dalla Milano da Bere. Ci ho messo un po' ad avere il coraggio di presentarmi alla porta del Plastic, c'era già il mito della durissima selezione all'ingresso. Lì andavi dalle 3 di notte in poi, fino alle 7 di mattina. Era il luogo dove convergevano tutti gli animali notturni della città, di qualunque genere. Un locale senza paragoni qui a a Milano e in Italia in generale, forse ci si avvicinava il Kinki di Bologna…ma insomma, parliamo di una realtà che era molto più vicina a certi club di Londra o alle realtà di New York dove il fondatore Nicola Guiducci, grande amico di Keith Haring, si recava spesso a cercare idee, spunti. Da lì arriva questa anima underground che a Milano non esisteva, e che è stata inizialmente accolta con un po' di snobismo dal mondo della moda. Era troppo strano, troppo "queer".
Poi?
Poi, nei primi anni Duemila, la svolta. Stefano Gabbana si innamora della serata House of Bordello e da lì arriva anche la consacrazione di un universo più mainstream, anche se pur sempre legato alla moda, all'arte e al design. Cominciano a entrare la corte di Stefano Gabbana e Domenico Dolce, Elio Fiorucci, Anna Dello Russo, Francesco Vezzoli, Maurizio Cattelan, Anna Piaggi, Francesco Scognamiglio, Alessandro Dell'Acqua. Ma anche i personaggi più noti venivano al Plastic per stare in tranquillità, se non in anonimato, non per farsi fotografare.
Quali erano le serate più celebri?
La serata House of Bordello di Sergio Tavelli e della Stryxia, il sabato, veniva letteralmente presa d'assalto. Si suonava Maledetta Primavera, Mina, Marcella Bella, revival archeologico degli anni Ottanta, Loredana Bertè cantavano sul cubo mentre Paola e Chiara ballavano tra la folla. Un repertorio che ora è un classico dell'intrattenimento ma che, al tempo, ha avuto un effetto spiazzante. La serata della domenica Match a Paris, quella dedicata all'indie inglese del London Loves il venerdì. La prima one night gay a Milano, Man2Man, negli anni Novanta: all'epoca c'era il Papa in visita a Milano e quella settimana la serata, ritenuta scandalosa dal pubblico, venne annullata. Ma era la selezione musicale l'anima di quel posto: Nicola Guiducci aveva un gusto musicale direi enciclopedico, e attraverso la propria cultura riusciva a costruire dei vissuti sempre nuovi che spaziavano dall'indie al punk, dalla musica classica al rock, sempre con un occhio al futuro e all'internazionalità. Anni fa non c'era la facilità di reperire musica come oggi: bisognava sapere dove cercare, spulciare tra i vinili nei negozi di Londra, Parigi, New York.
Cosa ha significato, quindi, il Plastic per Milano?
È stato un luogo felice dove un certo tipo di espressione eterodossa, non omologata, ha avuto per tantissimo tempo la possibilità di esprimersi. Una terra di mezzo che produceva arte e cultura, un crogiolo che ha spalancato tantissime menti. Io credo che questo sia il più bel regalo che un posto possa fare, no? Dare la possibilità di aprire altri mondi, di guardare alle cose in maniera differente. Era un po' un orto dove crescevano piante sempre diverse e bizzarre, interessanti, nuove.
Com'è cambiata in generale la nightlife milanese in questi ultimi 30,40 anni?
Tantissimo. I club in senso stretto non esistono praticamente più, e di quelli storici è rimasto ben poco. Perché? Perché è cambiato tutto. Quando mi sono trasferito a Milano c'era la serata del lunedì, del martedì e così via, si usciva sempre. E si creava quindi una sorta di comunità nomade che si ritrovava e vagava di notte, in una Milano accesa. Forse è anche cambiata la fruizione della notte da parte dei giovani.
Cioè?
Oggi vedo una fruizione più domestica, e sicuramente più oculata. È diventato costoso uscire tutte le sere. Se un giovane deve spendere 30, 50, 60 euro a volta magari sceglie di farlo una, due volte al mese. Milano si è svuotata di club, che spesso non riescono a stare dietro alle altissime spese se non sono supportate da numeri di pubblico molto forti, e riempita di bar e ristoranti: se questa è l'offerta in città è perché, evidentemente, la richiesta è cambiata. In tutto questo non hanno certo aiutato le app, i social.
Perché?
Un tempo un motore fortissimo che portava a vivere la notte era quello di fare incontri, conoscersi, rimorchiare, entrare in contatto con gli altri. Non sapevi quello che poteva succedere. C'era una grande spinta erotica, un'energia sexy anche nel senso più concreto e non solo di persone, odori, suoni e sensi. Oggi mi sembra che le serate siano diventate più che altro vetrine.