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Femminicidio Pamela Genini

Femminicidio Pamela Genini, perché il referto in ospedale è stato ignorato: cosa non ha funzionato

Pamela Genini, ricoverata in ospedale il 4 settembre 2024 a Seriate (Bergamo) dopo l’ennesima aggressione da parte del compagno Gianluca Soncin, aveva espressamente indicato di temere per la sua vita. Ma né il codice rosso né nessun altro sistema di protezione si sono attivati nei suoi confronti. Cosa è successo?
Intervista a Paolo Di Fresco
Avvocato penalista del Foro di Milano
A cura di Francesca Del Boca
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"Temo di essere uccisa", "la violenza fisica è aumentata nel tempo", "lui ha usato armi contro di me". Pamela Genini, ricoverata in ospedale a Seriate (Bergamo) il 4 settembre 2024 per una frattura alla mano dopo l'ennesima aggressione da parte del compagno Gianluca Soncin, aveva espressamente indicato sul referto di essere stata vittima di violenza, e di avere paura per la sua vita. Ma la richiesta di aiuto della 29enne si perde nel dedalo della burocrazia e tra i rimpalli di competenze territoriali: i carabinieri lombardi, che per primi raccolgono la segnalazione dei medici, rinviano infatti tutto ai colleghi di Cervia (dove è avvenuto l'episodio) che, a loro volta, rimettono il caso nelle mani di Seriate per raccogliere la denuncia della giovane, che si rifiuterà poi di mettere a verbale. Per paura di ulteriori ritorsioni nei suoi confronti e della famiglia, come accade nella maggior parte dei casi, e nel terrore di inasprire ancora di più la violenza del partner.

E così la faccenda si arena completamente, e nessun sistema di protezione viene attivato nei confronti della giovane. Nonostante le linee guida del Ministero impongano in casi come questo (con quattro domande positive su cinque al questionario antiviolenza compilato in ospedale da Pamela Genini) il coinvolgimento diretto della magistratura, nessuna informazione giungerà mai sui tavoli delle Procure di Bergamo o di Ravenna. L’episodio non viene inserito nella piattaforma “Scudo”, lo strumento usato per monitorare i casi a rischio anche in assenza di denuncia, e viene quindi segnalato come “presunta violenza di genere” nel sistema informativo delle forze dell’ordine. Di conseguenza, non risulta nemmeno quando, nel maggio del 2025, le forze di polizia intervengono ancora in casa della coppia – stavolta a Milano, nell'appartamento al secondo piano di via Iglesias dove il 14 ottobre la donna verrà uccisa con circa 30 coltellate.

Paolo Di Fresco, avvocato penalista del Foro di Milano
Paolo Di Fresco, avvocato penalista del Foro di Milano

Cosa succede (o dovrebbe succedere) quando una vittima di violenza riferisce ai medici di un ospedale di essere stata vittima di violenza?

I medici del Pronto soccorso devono attivare un percorso specifico dedicato alla vittima (il cosiddetto Codice Rosa), il cui principale obiettivo è quello di garantire la riservatezza e la sicurezza della vittima, a cui va prestato ascolto senza assumere inopportuni atteggiamenti giudicanti. Accade spesso che l’aggressore accompagni la vittima al Pronto soccorso per controllarla: in questo caso è necessario separarli immediatamente. Le linee guida per le aziende sanitarie e ospedaliere suggeriscono, inoltre, di sottoporre alla vittima un questionario, chiamato Brief Risk Assesment, che ha lo scopo di valutare il rischio di un’escalation dei comportamenti violenti.

Come funziona il questionario antiviolenza da compilare in ospedale, a cui Pamela Genini aveva risposto con quattro risposte affermative su cinque?

Attraverso alcune domande mirate – sono cinque, di regola – il medico dovrà informarsi, tra l’altro, se negli ultimi sei mesi le violenze siano divenute più frequenti, se vi siano state minacce di morte, se l’aggressore abbia fatto uso di armi, se la vittima sia sottoposta a forme di gelosia o controllo ossessivo. Il questionario è, dunque, uno strumento operativo che aiuta comprendere quali siano le misure cliniche, protettive e giuridiche da assumere nel caso specifico. In caso di rischio medio/alto, o comunque quando vi siano segnali di un pericolo imminente, si coinvolgono subito le forze dell’ordine, i servizi sociali e i Centri antiviolenza, si forniscono alla vittima numeri di emergenza o recapiti sicuri e, se necessario, se ne dispongono le dimissioni verso una struttura protetta.

E poi?

Sussiste l’obbligo a carico dei sanitari di trasmettere il referto all’autorità giudiziaria entro 48 ore (se non prima, nei casi di estrema urgenza) quando le violenze subite dalla vittima integrino gli estremi di un reato procedibile d’ufficio: i maltrattamenti in famiglia, ad esempio, o le lesioni gravi. Quando, invece, il reato sia procedibile a querela di parte, si dovrà informare la vittima della facoltà di sporgere querela.

In caso ciò non accada?

La piattaforma Scudo è uno strumento che consente alle diverse forze di polizia di condividere segnalazioni e interventi nei casi di violenza domestica o di genere anche in assenza di denuncia per formare o aggiornare la scheda. Per ogni episodio, viene compilata una scheda che contiene alcune informazioni essenziali (luogo, soggetti coinvolti, dinamica, ecc.). L’obiettivo è quello di monitorare il rischio attraverso un più efficace coordinamento dei dati: le schede, infatti, consentono di collegare episodi ripetuti nel tempo, anche in assenza di querela. La piattaforma si attiva nel momento stesso in cui l’agente che abbia eseguito l’intervento o abbia ricevuto la notizia compila la scheda. I dati raccolti dovrebbero favorire, ovviamente, una più tempestiva reazione delle forze di polizia e la pronta attivazione del Codice rosso.

Come funziona il Codice rosso, e quando si attiva? Quali sono le primissime misure previste dal codice per tutelare le vittime?

Con l’espressione Codice rosso si fa riferimento a una serie di norme penali e processuali che introducono una corsia preferenziale per i casi di violenza domestica e di genere. In estrema sintesi, funziona così: la polizia giudiziaria che ha raccolto la notizia di reato deve trasmettere immediatamente gli atti alla Procura della Repubblica. Il pubblico ministero, da parte sua, deve sentire la persona offesa senza ritardo, di regola entro tre giorni. Lo scopo è quello di accelerare le indagini e, se del caso, consentire al giudice per le indagini preliminari di adottare urgentemente le opportune misure cautelari: ad esempio, l’allontanamento dalla casa familiare o il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla vittima, anche attraverso l’impiego di particolari modalità di controllo come il braccialetto elettronico.

La prognosi di Pamela Genini, in questo caso, era inferiore ai 20 giorni e quindi ritenuta troppo bassa per agire d'ufficio e non per querela di parte.

La procedibilità d’ufficio, e quindi anche senza denuncia, è prevista appunto solo per le lesioni gravi (cioè con prognosi superiore ai 40 giorni o indebolimento permanente di un senso o di un organo) o, a maggior ragione, gravissime. Non mi pare che, in questo caso, i medici siano venuti meno al loro dovere: il referto fu trasmesso alle forze dell’ordine senza ritardo. Forse i carabinieri avrebbero potuto seguire con più attenzione la vicenda, e non limitarsi a prendere atto che la persona offesa non intendeva sporgere denuncia. Col senno di poi, però, è facile formulare giudizi: so che è stata aperta un’indagine per fare chiarezza su eventuali omissioni.

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