Ergastolo annullato per Alessia Pifferi che ha lasciato morire la figlia, pena ridotta a 24 anni: cos’è successo

Ergastolo annullato per Alessia Pifferi, la 40enne che nel luglio del 2022 fece morire di stenti la figlia di 18 mesi abbandonandola da sola in casa per una settimana. La sentenza d'appello, pronunciata oggi in Corte d'Assise a Milano, cancella il primo grado e riduce la pena per la donna a 24 anni grazie all'esclusione di un'ulteriore aggravante (dopo quella della premeditazione, eliminata già in primo grado, anche quella dei futili motivi) e al riconoscimento delle attenuanti generiche (non ammesse dai giudici di Corte d'Assise nel precedente procedimento penale).

La condanna per Alessia Pifferi è stata ridotta a 24 anni. Stando alle informazioni che sono finora in nostro possesso, visto che le motivazioni della sentenza verranno pubblicate tra 90 giorni: come è stato possibile?
La pena è stata ridotta – dall’ergastolo a 24 anni di reclusione – perché la Corte d’assiste d’appello ha appunto, da un lato, escluso l'aggravante dei futili motivi e, dall’altro, riconosciuto le circostanze attenuanti generiche.
Nel nostro ordinamento, in presenza di circostanze eterogenee (cioè aggravanti e attenuanti), è previsto un giudizio di comparazione, il cosiddetto bilanciamento, il cui scopo è quello di consentire al giudice di esprimere una valutazione del fatto reato e della personalità del reo più aderente al caso sottoposto alla sua attenzione.
Applicando le regole dell’art. 69 c.p., in caso di reato circostanziato il giudice è chiamato a stabilire se prevalgano le aggravanti o le attenuanti oppure se le stesse siano tra loro equivalenti. In estrema sintesi, possiamo dire che, se prevalgono le aggravanti, si applicheranno soltanto gli aumenti di pena e non si terrà conto delle diminuzioni previste dalle attenuanti. Se viceversa prevalgono le attenuanti, si applicheranno le diminuzioni e non gli aumenti. In caso di equivalenza, infine, il giudice applicherà la pena che avrebbe inflitto in mancanza di circostanze. La regola soffre, però, alcune eccezioni: esistono infatti circostanze, ad esempio la recidiva reiterata, che si sottraggono al bilanciamento.
Non basta una singola aggravante, in caso di omicidio, per dare l'ergastolo?
In caso di omicidio si applica la pena massima quando ricorra una di quelle circostanze che, secondo le disposizioni del codice penale (art. 576 e 577 c.p.) determinano, appunto, l’ergastolo. Sono parecchie: tra le altre, avere compiuto il fatto contro l’ascendente o il discendente per futili motivi, con crudeltà o ancora con premeditazione. Oppure quando il fatto sia commesso a seguito di stalking o in occasione di una violenza sessuale. Tuttavia, sulla base del giudizio di bilanciamento che ho cercato di spiegare prima, il riconoscimento di circostanze attenuanti equivalenti (che nell’omicidio, tranne in alcuni casi specifici, non sono mai prevalenti) neutralizza l’aumento di pena previsto per l’aggravante: esattamente quello che è successo nel caso della Pifferi.
Quali sono le attenuanti, in genere?
Le attenuanti sono previste dall’art. 62 c.p. e il catalogo è piuttosto lungo: ad esempio, avere agito per motivi di particolare valore morale e sociale, l’avere agito in stato d’ira provocato dal fatto ingiusto altrui, l’avere riparato interamente il danno prima del giudizio. Una menzione a parte meritano, però, le attenuanti generiche previste dall’art. 62 bis c.p.: si tratta di circostanze di contenuto indefinito, che consentono al giudice di prendere in considerazione alcune situazioni non contemplate dall’art. 62 allo scopo di adeguare la pena al caso concreto e mitigare, quando ne ricorrano i presupposti, il trattamento sanzionatorio.
Cosa significa aggravante dei futili motivi, oggi esclusa dalla Corte d'Assise d'appello di Milano?
L’aggravante dei futili motivi ricorre quando il reato sia commesso per ragioni tanto banali e spropositate rispetto al fatto da apparire del tutto insufficienti a provocare l’azione criminosa. In definitiva, l’aggravante sussiste quando lo stimolo che ha portato a commettere il reato sia un mero pretesto per dare sfogo a un impulso violento. Questo giudizio sulla futilità dei motivi non va, tuttavia, basato sul comportamento di un ideale uomo medio ma va ancorato agli elementi del caso concreto, tenendo conto delle connotazioni culturali del soggetto giudicato, del contesto sociale e del particolare momento in cui il fatto criminoso si è verificato.