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Delitto Lidia Macchi, 34 anni senza un colpevole: oggi la sentenza della Cassazione

È attesa oggi la sentenza della Cassazione sul caso Lidia Macchi, la studentessa universitaria uccisa nei boschi vicino Varese nel gennaio del 1987. L’unico imputato per il delitto, l’ex compagno di liceo di Lidia Stefano Binda, è stato assolto in appello nel luglio del 2019. La Cassazione dovrà confermare l’assoluzione o disporre un nuovo processo d’appello per l’uomo, oggi cinquantenne.
A cura di Francesco Loiacono
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Chi ha ucciso Lidia Macchi? Sono passati oltre 34 anni, ma ancora non c'è un colpevole per la morte della studentessa universitaria, accoltellata nei boschi di Cittiglio, in provincia di Varese, nella notte tra il 5 e il 6 gennaio del 1987. Un cold case che potrebbe rimanere tale se oggi la Cassazione dovesse decidere di rigettare il ricorso presentato dal sostituto procuratore generale di Milano Gemma Gualdi e dalla famiglia della vittima, e di confermare così l'assoluzione di quello che finora è stato l'unico imputato per il delitto: Stefano Binda.

L'ex compagno di liceo di Lidia è stato assolto in appello

L'uomo, ex compagno di liceo di Lidia e che come lei frequentava all'epoca gli ambienti di Comunione e liberazione, era stato arrestato nel 2016, a 29 anni dalla morte di Lidia. Un colpo di scena che aveva poi portato al processo, culminato in primo grado il 24 aprile del 2018 con la condanna all'ergastolo per Binda, professatosi sempre innocente. In secondo grado i giudici della Corte d'assise d'appello di Milano gli hanno però dato ragione: Binda è stato assolto "per non aver commesso il fatto" ed è tornato a vivere, in libertà e nella massima riservatezza, a Brebbia, nel Varesotto.

Ed è proprio lì, dove l'ormai cinquantenne Binda vive con la madre, che l'uomo attenderà la decisione dei giudici della Suprema corte. Potrebbero mettere fine a una vicenda giudiziaria che va avanti da oltre 5 anni, ma al tempo stesso prolungare l'odissea della famiglia Macchi, che da oltre 34 anni cerca giustizia per la loro figlia. La procura generale e la famiglia contestano il modo in cui è stato svolto il processo d'appello, e in particolare una testimonianza chiave che ha scagionato Binda: ruota attorno al componimento poetico "In morte di un'amica", recapitato alla famiglia Macchi la mattina dei funerali e che secondo gli inquirenti sarebbe stato scritto dall'assassino, per via dei suoi contenuti. Un cliente dell'avvocato Piergiorgio Vittorini gli confidò di essere l'autore del poema, ma di non aver mai avuto il coraggio di dirlo proprio temendo di essere accusato del delitto. E la testimonianza dell'avvocato Vittorini al processo d'appello, unitamente agli esami delle tracce biologiche sulla lettera, sono state determinanti per scagionare Binda.

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