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Da primario a medico di base: chi era il dottor Giuseppe De Donno che si è tolto la vita

Si sarebbe suicidato impiccandosi il dottor Giuseppe De Donno, padre della cura del plasma iperimmune per combattere il Covid. Ora la Procura ha aperto un’indagine per capire quanto accaduto: sono già stati interrogati i famigliari e messi sotto sequestro telefoni e computer. Ma chi era il medico mantovano?
A cura di Giorgia Venturini
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Ha passato la sua vita tra le corsie dell'ospedale di Mantova come primario, insieme al collega Massimo Franchini, del reparto di Immunoematologia e Trasfusionale del Carlo Poma, prima di lasciare tutto e dedicarsi alla medicina generale a Porto Mantovano, qualche chilometro oltre i confini cittadini. Per questo i mantovani non riescono ancora a credere alla morte di Giuseppe De Donno, 54 anni: nel pomeriggio di ieri martedì 27 luglio si è tolto la vita nella sua casa a Curtatone dove viveva con la famiglia, sua moglie Laura e i due figli Martina ed Edoardo.

Aperta un'inchiesta sulla sua morte

Ventiquattro ore dopo il decesso la Procura di Mantova per far luce su quanto accaduto ha aperto un'inchiesta sulla morte del medico: dalle prime informazioni sembrerebbe che il medico si sia impiccato nel pomeriggio quando in casa non c'era nessuno. Intanto i carabinieri, già nella serata di ieri, hanno sentito i famigliari – la moglie e i due figli – per cercare di capire il motivo del gesto. Il medico infatti non avrebbe lasciato nessun biglietto. I militari hanno poi posto sotto sequestro i cellulari e il computer di De Donno.

La sua carriera da primario

Una vita dedicata alla medicina: come riportano i quotidiani locali, De Donno dopo un diploma al liceo classico, si laurea in medicina e chirurgia all'università di Modena con 110 e lode. Passato l'esame di stato continua gli studi specializzandosi nel 1996 in fisiopatologia e allergologia respiratoria. La sua carriera lavorativa inizia nel 1992 con il mio primo incarico nel reparto Malattie dell’Apparato Respiratorio del Policlinico dell’Università di Modena. Il suo primo incarico di responsabilità arriva nel 2010 quando per tre anni è a capo di una struttura che si occupa di pazienti che necessitano di una ventilazione meccanica domiciliare. Il salto in carriera arriva nel 2013 quando diventa dirigente medico della struttura complessa di Pneumologia e Utir (unità intensiva respiratoria) dell'Asst Carlo Poma.

La cura del plasma iperimmune

Ma non solo Mantova: De Donno diventa uno dei medici più conosciuti d'Italia perché sperimenta e propone la terapia del plasma iperimmune per combattere il Covid definendola lui stesso "un'arma magica". La medicina mondiale poi non ha ritenuto questa cura la più indicata per sconfiggere il virus: già a novembre 2020 uno studio realizzato dall’Hospital Italiano de Buenos Aires e pubblicato sulla rivista New England Journal of Medicine ha spiegato che l’utilizzo del plasma iperimmune sui pazienti gravi per Covid-19 non sortiva alcun effetto. Intanto però per portare avanti la sperimentazione in Italia è stata scelta l'università di Pavia con cui Mantova riuscirà a strappare una semplice collaborazione. De Donno ci credeva: aveva ribadito già duranti i primi mesi della pandemia che il suo unico obiettivo era quello di creare banche plasma in giro per l'Italia così da arginare altre ondate del virus. Per il dottor De Donno "ognuno dei guariti dona poco più di mezzo litro di sangue ma, per usarlo, d'ora in poi, pare stiano sorgendo degli impedimenti". La cura infatti venne sia criticata che apprezzata: se da una parte ci sono stati pazienti Covid trattati con il plasma che hanno ringraziato il medico dall'altra c'è una comunità scientifica che non ha mai accertato e confermato l'efficacia di questa sperimentazione. Ora gli interrogativi sono tutti concentrati su quanto successo nella pomeriggio di ieri e cosa abbia spinto il medico mantovano a commettere un tale gesto. Lui che tanti amici lo ricordano come grande appassionato di calcio e di ciclismo. Così come del mare del Salento.

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