Cosa non ha funzionato nell’assistenza psichiatrica a Vincenzo Lanni, che ha accoltellato una donna a Milano

Prima autore di un accoltellamento ai danni di due sconosciuti incrociati per strada nel 20215, già condannato a otto anni di reclusione (più tre di permanenza in una struttura psichiatrica) e dichiarato seminfermo di mente dopo che una perizia gli aveva diagnosticato un disturbo schizoide di personalità. Vincenzo Lanni, dieci anni dopo, è tornato a commettere le stesse pericolosissime azioni quando, la mattina del 3 novembre scorso, ha pugnalato con una lama di 40 centimetri una donna in piazza Gae Aulenti a Milano: ora si trova in carcere, con l'accusa di tentato omicidio aggravato dalla premeditazione.
Cosa dunque non ha funzionato, in questi dieci anni? Perché l'ex informatico di Bergamo ha potuto vagare da solo per giorni e giorni, comprando un lungo coltello da cucina e mettendo in pratica il suo piano omicida senza che nessuno vigilasse realmente su di lui? E come, in generale, vengono gestiti dal sistema i soggetti psichiatrici dopo l'esecuzione della pena? Ne parliamo con il dottor Massimo Clerici, professore di Psichiatria all'università Bicocca di Milano.

Vincenzo Lanni era stato dichiarato da una perizia seminfermo di mente, e quindi parzialmente capace di intendere e di volere.
La seminfermità di mente è una questione complicata, molto discussa anche da psichiatri, periti, tribunali e magistrati stessi: si tratta di una condizione di incapacità di intendere temporanea molto variabile, in cui si pensa che ci siano come delle finestre n cui si apre questa capacità di intendere di volere e in altre in cui si chiude. Il fatto che uno venga diagnosticato seminfermo per un disturbo di personalità, apre la strada al fatto che poi durante tutta la vita questo disturbo di personalità può lavorare e comportare ancora nuovi comportamenti devianti, o addirittura dei reati, davanti a eventi scatenanti come un divorzio, un licenziamento, difficoltà economiche. Difficile prevedere quali.
Gli investigatori stanno acquisendo le relazioni effettuate per valutare la pericolosità sociale di Lanni, che ha finito di scontare la sua condanna nell'ottobre 2024 senza nessun altro provvedimento. Questo nonostante la denuncia della Polfer di Varese che nel 2023, mentre era sottoposto alla libertà vigilata, lo aveva trovato con un coltello nello zaino. Cosa è andato storto?
Se fosse stato diagnosticato un disturbo schizofrenico la storia sarebbe stata molto diversa. Qui sono state sottovalutate la sua dimissione, la sua pericolosità. Non c'è stato un monitoraggio attento della sua condizione, che essendo riferita a un disturbo di personalità doveva essere comunque interpretata come problema in grado di durare per la vita: i disturbi personalità non guariscono. Cominciano in adolescenza e vanno avanti per sempre, senza una precisa continuità. E senza peraltro prevedere una terapia farmacologica mirata come nel caso della schizofrenia o del disturbo bipolare. I disturbi di personalità non presuppongono infatti delle terapie indicate perché non c'è nessuna molecola, nessun farmaco che curi il comportamento nel suo complesso.

Guido Bertolaso: "Bisogna potenziare le REMS, sono troppo poche in Italia". Cosa sono, a cosa servono?
Le REMS, cioè le residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza per chi ha un disturbo mentale e ha compiuto un reato, sono state istituite in Italia dopo la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari. Sono comunità terapeutiche, non più chiuse come erano gli ospedali psichiatrici al tempo, che hanno finalità di monitoraggio delle misure di sicurezza e di riabilitazione allo stesso tempo. Strutture che potrebbero essere efficaci ma che, come accade spesso in Italia, sono in numero limitato (da una a tre per regione), con lunghe liste d'attesa e operatori insufficienti.
Quindi si, vanno potenziate, senza dubbio. Ma il problema di fondo comunque rimane: la permanenza nella REMS, in ogni caso, non è certo per sempre. La richiesta di controllo sociale che che su certi soggetti deve essere assolutamente esercitata non si esaurisce purtroppo così. Sui disturbi di personalità è veramente difficile, soprattutto questi qui che hanno un discontrollo, cioè quelli impulsivi, disinibiti che che rispondono così in maniera automatica con atti di violenza… è il problema attuale di questa società.
E quindi? La prefettura di Milano ha deciso di intensificare i presidi mobili delle forze dell’ordine. Mentre il ministro dell'Interno Matteo Piantedosi ha dichiarato oggi: "Dopo la legge Basaglia, bisogna trovare una terza via".
Ma cosa significa di preciso "terza via"? Andrebbe specificato. Stiamo parlando di persone che devono essere monitorate nel tempo. Quindi bisogna costringere la persona a doversi far vedere dai servizi a tutti i costi. Come? Sul tema, ci sono già delle norme in molti Paesi del Nord Europa come Scandinavia, Inghilterra, Germania che prevedono il cosiddetto "obbligo di cura": in Inghilterra, addirittura, hanno creato delle unità di operatori, educatori, infermieri, psicologi, assistenti sociali che vanno a casa dei pazienti.
È necessario avere strumenti legislativi adeguati, non basarsi sulla motivazione del singolo o sull'iniziativa delle famiglie, che troppo spesso hanno sulle spalle l'intero carico della gestione di questi soggetti. Persone che non guariscono mai. Bisogna occuparsi di loro, non le possiamo lasciare per strada, libere di fare quello che vogliono.
Lanni si trovava in comunità a Varese su base volontaria, perché affrontare un percorso di reinserimento in società, e non costretto da un provvedimento del tribunale. Quale è il ruolo delle comunità in questo momento, e potrebbe essere potenziato anche quello?
Le comunità sono molto diverse l'una dall'altra. Buona parte delle comunità sono assolutamente aperte per soggetti che accettano il trattamento, sono le nostre comunità riabilitative. Poi ci sono delle comunità che hanno fatto delle convenzioni e sostanzialmente funzionano come delle REMS per pazienti autori di reato, però sono una via di mezzo, nel senso che una comunità non ha il personale di sicurezza o la polizia penitenziaria, e lavora in regime di volontarietà. Insomma, in questo momento è difficile pensare che le comunità terapeutiche facciano da surrogato.