34 CONDIVISIONI

Como, il procuratore capo: “La ‘ndrangheta è silente, le piccole imprese in crisi stiano attente”

Il procuratore capo di Como Nicola Piacente in un’intervista a Fanpage.it ha messo in allerta le piccole e medie imprese del territorio: “In tutta la provincia la ‘ndrangheta agisce in silenzio, ma non per questo bisogna pensare che non ci sia. Gli imprenditori non devono fare l’errore di chiedere liquidità alla ‘ndrangheta per restare sul mercato in questo periodo di emergenza sanitaria ed economica”. Il procuratore poi avverte: “I settori a rischio non sono più solo quelli prediletti dalla ‘ndrangheta, come movimento terra e ciclo dei rifiuti, ma anche le attività a conduzione famigliare della ristorazione e del turismo”.
A cura di Giorgia Venturini
34 CONDIVISIONI
Procuratore di Como Nicola Piacente
Procuratore di Como Nicola Piacente

"Sul territorio comasco la ‘ndrangheta è silente. Agisce in silenzio, ma non per questo bisogna pensare che non ci sia. Anzi, in questo periodo di emergenza Covid le piccole medie imprese non devono diventare facili bersagli della criminalità organizzata che cerca di entrare nei loro affari". Lo spiega bene a Fanpage.it il Procuratore Capo di Como Nicola Piacente che mette in guardia gli imprenditori comaschi messi in ginocchio dai mesi di chiusura forzata e dai pochi turisti sul lago: "Oggi gli imprenditori non devono fare l'errore di chiedere liquidità alla ‘ndrangheta per restare sul mercato. Mi rivolgo alle piccole medie imprese, quelle che il lockdown ha messo più in difficoltà, di tutti i settori commerciali della zona. Non solo quelle che operano nei tradizionali mercati prediletti dalla ‘ndrangheta, come movimento terra e ciclo dei rifiuti, ma anche le attività a conduzione famigliare della ristorazione e del turismo. Non è tanto una questione di settori ma di dimensione economica". In Lombardia la criminalità organizzata preferisce i piccoli centri e la provincia di Como non fa eccezione: qui si contano 160 comuni con 42.227 piccole medie aziende attive sul territorio. E in dieci anni ci sono stati 50 arresti per 416 bis.

In quattro anni solo nove denunce per estorsione riconducibili a possibili esponenti di ‘ndrangheta

A Como la ‘ndrangheta c’è: i comaschi se ne sono accorti una prima volta dopo l’operazione della Direzione distrettuale antimafia di Milano “I fiori della notte di San Vito” nel 1994 per poi togliersi qualsiasi dubbio con l’operazione Infinito del 2010: allora delle 15 Locali di ‘ndrangheta accertate dagli investigatori in Lombardia tre erano comasche, ovvero quella di Canzo-Asso, Erba e Mariano Comense. Poi con il tempo sono diventate cinque. Se però fino a qualche anno fa la ‘ndrangheta si è imposta sul territorio con la violenza, da cinque anni la criminalizzata organizzata non incendia più auto e non intimidisce gli imprenditori per estorcere denaro. Basti pensare che, secondo i dati della Procura, le denunce di usura negli ultimi quattro anni sono 36 per frode bancaria e 9 nei confronti di singoli individui che quindi possono essere riconducibili a membri di ‘ndrangheta. Non ci sono più i “tradizionali” reati spia: “Da circa cinque anni la criminalità organizzata di stampo mafioso presente sul territorio comasco vive di ‘rendita di posizione’. O meglio, riconosciuta ormai in provincia come un'autorità, non ha bisogno di utilizzare la violenza per colludere imprenditori. Ma sa che può usarsene quando vuole e questo basta ai comaschi per desistere a denunciare”, continua a spiegare il procuratore Piacente. Insomma, la criminalità organizzata non ha bisogno di manifestare la propria violenza, ma non per questo è meno pericolosa.

A Como gruppi criminali accumulano capitale attraverso la frode tributaria

A maggio abbiamo arrestato trenta persone con l’accusa di frode tributaria. Le indagini si sono concentrate sul rapporto di lavoro tra consorzi e cooperative– spiega il procuratore Piacente -. L’accumulazione di capitale avveniva attraverso uno schema fraudolento che si è consolidato nell’arco di dieci anni. Sul territorio c’erano consorzi che fingevano di appaltare a diverse cooperative sociali più lavori. Queste, costituite ad hoc, simulavano a loro volta l’acquisizione di questi incarichi che di fatto però venivano svolti da dipendenti apparenti delle cooperative, mentre invece erano membri del consorzio che scaricavano sulle cooperative gli adempimenti tributari che non erano mai stati assolti. Erano infatti le cooperative a emettere la fattura senza pagare le tasse. Dopo aver accumulato abbastanza denaro le cooperative venivano fatte fallire per poi crearne delle altre". E aggiunge: "Un sistema durato dieci anni svelato da una comune verifica della Guardia di finanza di Erba. Le indagini hanno poi consentito di individuare che tra i promotori della frode vi erano persone provenienti da Gioia Tauro”. Un sistema pensato in dieci anni.

34 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views