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Cinici e senza empatia: cosa ci dicono le frasi dei ragazzi accusati di aver accoltellato un 22enne in Corso Como

Cinque ragazzi sono stati arrestati dopo aver accoltellato un 22enne in Corso Como a Milano. Le intercettazioni e i messaggi che si sono inviati hanno mostrato assenza di empatia.
A cura di Margherita Carlini
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Si conoscono nel dettaglio i momenti che hanno caratterizzato l’aggressione commessa circa un mese fa in viale Montegrappa a Milano. Cinque ragazzi, tre appena maggiorenni e due minorenni, hanno picchiato violentemente un giovane, dopo avergli sottratto una banconota da cinquanta euro. Una violenza cieca, inaudita, contro un ragazzo che era già inerme a terra. Cinque persone che si sono accanite contro un soggetto in evidente stato di vulnerabilità, sferrandogli anche due coltellate. Cinque ragazzi accusati di tentato omicidio aggravato, un giovane che ha rischiato la vita, perdendo quattro litri di sangue, che è vivo solo per il tempestivo intervento dei soccorritori e che rischia un'invalidità permanente.

Preziose nella ricostruzione dei fatti sono state le immagini delle telecamere di sicurezza presenti sul posto e le testimonianze di alcune ragazze che avevano osservato la prima fase dell’interazione tra il gruppo di ragazzi ed il giovane di fronte a un locale. Determinanti anche per smentire i tentativi di depistaggi e di alterazione della ricostruzione delle dinamiche posta in essere dagli aggressori che, intercettati nella sala di attesa della Questura, cercano di accordarsi per fornire una versione dei fatti che possa in qualche modo ridimensionare le loro responsabilità.

"Ca**o frà, è tentato omicidio, poi dipende… però se… la roba cosa che ci salva è… che diciamo che eravamo ubriachi e che questo ha detto ‘c'ho un coltello' anche se poi gli diciamo che l’ha detto lui". E ancora: "Diciamo che … lui mi è venuto addosso e l'ho spinto una prima volta e… ho visto che ha messo una mano in tasca. Stava per tirare fuori qualcosa, mi è saltato addosso …".

Ma quello che di inaccettabile e pertanto allarmante emerge da queste intercettazioni, riguarda le modalità con cui questi ragazzi raccontano l'aggressione e si riferiscono alla vittima. Non parliamo di giovani ai margini, con problematiche specifiche o precedenti, ma di ragazzi "di buona famiglia", che non avevano bisogno di quel denaro ma che sembrano aver usato quella violenza per puro divertimento.

È evidente come la vita dell’altro non abbia alcun valore, questo comporta un'inevitabile assenza di senso di colpa per i propri agiti, che anzi diventano addirittura motivo di vanto, sia per la violenza posta in essere che per la voglia di sfidare il sistema.

Tra confronti e momenti di ilarità i ragazzi ricostruiscono quanto accaduto: "L’ha massacrato", "Però non so se si vede dove lo scanniamo", "Io anche voglio vedere il video, voglio vedere se ho picchiato forte", "Quando l’ho spaccato di botte". E ancora: "Magari quel co***one è ancora in coma, domani schiatta e ti danno omicidio" e l'altro replica "… ma speriamo brò, almeno non parla! Te non hai capito, io gli stacco tutti i cavi".

Quindi pensano anche a una messa in scena che possa garantire un alleggerimento della loro posizione, fingendo un pentimento di cui in realtà non c’è traccia. "Sai che possiamo fare che è un bel gesto?  Lo andiamo a trovare almeno i giudici … gli diciamo ‘ci spiace siamo pentiti', ma … a me in realtà non me ne frega".

Poco prima uno di loro aveva condiviso agli altri la sua intenzione di pubblicare una storia su Instagram, come se tutto fosse un gioco o qualcosa di cui vantarsi: "Eh raga io però voglio mettere la storia! Sì, metto la storia del foglio, censuro i nomi e scrivo che si vede solo l’articolo".

Nessun pentimento dunque, nessun senso di colpa o di vergogna per quanto è stato commesso, anzi, la volontà di farne un vanto, di descriverla come una bravata di cui essere orgogliosi. Tanto che poco dopo uno di loro condivide con gli altri una strategia per poter commettere altre aggressioni evitando di essere identificati "la prossima volta ci bardiamo", facendo il gesto di travisare il volto.

Queste frasi, di una gravità inaudita, sono state tenute in considerazione nella decisione di disporre una misura cautelare in carcere. Sembra si stia assistendo a uno scollamento sempre più evidente tra la vita reale e quella virtuale, come se la prima sia diventata solo strumentale al funzionamento dell'altra, con inevitabile perdita di percezione del disvalore morale e delle conseguenze che le azioni poste in essere hanno.

Abbiamo a che fare con ragazzi giovani e giovanissimi profondamente immaturi, sia sul piano emotivo che su quello relazionale. Caratteristiche queste che incidono profondamente sulla criminalità perché li rendono incapaci di provare empatia, di mettersi nei panni dell’altro di comprendere le conseguenze che le loro azioni hanno. L’isolamento e l’individualità esaltata dai social fa il resto.

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Sono Psicologa Clinica, Psicoterapeuta e Criminologa Forense. Esperta di Psicologia Giuridica, Investigativa e Criminale. Esperta in violenza di genere, valutazione del rischio di recidiva e di escalation dei comportamenti maltrattanti e persecutori e di strutturazione di piani di protezione. Formatrice a livello nazionale.
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