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“Alessia Pifferi è una bambina senza volontà: l’ergastolo sarebbe ingiusto”: parla la sua insegnante di sostegno

Continua la strategia della difesa di Alessia Pifferi, che da tempo porta avanti la tesi della disabilità cognitiva della donna in contrasto con l’esito della perizia psichiatrica superpartes. “Alessia è sempre stata una bambina, l’unico caso in cui sono andata dal preside in 30 anni di insegnamento”
A cura di Francesca Del Boca
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Alessia Pifferi
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"Alessia Pifferi aveva bisogno di aiuto. La considero ancora come una bambina, senza volontà nelle sue azioni. Condannarla a 30 anni sarebbe ingiusto, aveva dei problemi". Interviene anche l'insegnante di sostegno della 39enne, oggi a processo per aver abbandonato da sola in casa per una settimana e lasciato morire di stenti la figlia di 18 mesi nel luglio del 2022.

Continua così la strategia della difesa, che da tempo porta avanti la tesi della disabilità cognitiva della donna (e la conseguente infermità mentale) in contrasto con l'esito della perizia psichiatrica disposta dalla Corte e firmata da Elvezio Pirfo: la relazione superpartes aveva evidenziato infatti la piena capacità di intendere e di volere di Alessia Pifferi, caratterizzata piuttosto da uno stato psicologico di "analfabetismo emotivo" che le impedirebbe di elaborare i sentimenti e provare reale empatia.

Un deficit dello sviluppo intellettivo che, stando all'avvocato Alessia Pontenani e allo psichiatra consulente della difesa Marco Garbarini, sarebbe stato evidente fin dall'età scolare. E testimoniato da brutti voti in pagella, bocciature e continue assenze. "La colpa, a mio parere, è tutta della famiglia", affonda l'insegnante di sostegno a Storie Italiane su Rai 1. "Ho sofferto molto per questa ragazza. In 32 anni è stata l’unica volta in cui sono andata dal preside, avevo capito che l'alunna aveva bisogno di aiuto".

E ancora. "Considero Alessia ancora come una bambina, nel senso più puro del termine. Immatura, sì, ma senza volontà nelle sue azioni. Vorrei poterla vedere in un contesto che le permetta di maturare e di prendere consapevolezza di sé: condannarla a 30 anni sarebbe ingiusto". La stessa teoria emersa dagli accertamenti delle psicologhe di San Vittore, poi finiti sotto l'inchiesta del pm Francesco De Tommasi che oggi accusa le professioniste e l'avvocato difensore: secondo il titolare dell'indagine avrebbero fatto cambiare versione all'imputata, manipolandola per farle ottenere la tanto agognata diagnosi di infermità mentale.

"Non mi sembra una bugiarda", le parole dell'insegnante di sostegno. "Raccontava dell'amico del padre a cui la madre portava da mangiare, e che si intratteneva con lei". Una testimonianza che la 39enne aveva reso al dottor Pirfo, e che non aveva convito il pm De Tommasi. "Non ci sto a essere preso in giro", aveva dichiarato in aula. "Gli abusi dell'infanzia non esistono. Qualcuno le ha suggerito di raccontarli, ho le prove".

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