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Luigi Di Maio: “Matteo Salvini mi sembra un po’ nervoso. Dice a me di lavorare? Da che pulpito…”

Continua il botta e risposta tra i due vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini e Luigi Di Maio. E se il ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico parla di “leghisti un po’ nervosi”, quello dell’Interno lo sfotte sul suo profilo Facebook postando un video satirico in cui è ritratto alla stregua di Mussolini.
A cura di Redazione
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Continua la polemica fra la Lega e il Movimento 5 Stelle, dopo le dichiarazioni di Luigi Di Maio sulla direzione che l'alleato di governo sembra aver preso in vista delle imminenti elezioni europee del 26 maggio prossimo. Come vi abbiamo raccontato, infatti, immediata era stata la replica di Matteo Salvini, che aveva sostanzialmente accusato il ministro del Lavoro di aver messo in piedi una polemica strumentale, aggiungendo: "Io lavoro, io rispondo col lavoro, con i fatti. Questa gente che cerca fascisti, comunisti, nazisti, marziani, venusiani… i ministri sono pagati per lavorare. Se invece di polemizzare si lavorasse di più, si sbloccassero cantieri fermi, l'Italia sarebbe un paese migliore".

Un intervento che ha acceso ulteriormente i toni, almeno a giudicare dalla risposta del leader del Movimento 5 Stelle. "Cosa penso delle parole di Salvini? Non saprei, ultimamente sento i leghisti un po' nervosi", ha argomentato Luigi Di Maio, non risparmiando una stoccata al leader leghista sulla questione del "lavoro" per cui sarebbe pagato un ministro: "Scherzando mi verrebbe da dire: da che pulpito viene la predica… Ma la prendo con leggerezza. Sarà stato il momento, non so". Una linea condivisa dall'intero Movimento 5 Stelle, dal cui interno trapela una certa insofferenza per le parole di Salvini, accusato di passare più tempo negli studi televisivi che negli uffici del Viminale.

Dal canto suo, il ministro dell'Interno non arretra, anzi. Alla vigilia della sua partecipazione a Vinitaly a Verona, infatti, posta sul suo profilo Facebook un video "ironico" in cui viene equiparato a Mussolini e "chiama in causa" assieme Luigi Di Maio e Matteo Renzi.

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