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“La mossa del cavallo” in tv: l’opera di Camilleri fra intrighi, omertà e riscoperta del dialetto

Una nuova fiction ispirata ai capolavori di Andrea Camilleri: questa volta sul piccolo schermo arriva “La mossa del cavallo”, giallo storico ambientato nella Sicilia post-risorgimentale. La chiave degli intrighi, il dialetto siciliano.
A cura di Federica D'Alfonso
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Lo scrittore Andrea Camilleri.
Lo scrittore Andrea Camilleri.

Andrà in onda questa sera, per la prima volta in assoluto, una nuova fiction ispirata ad un’opera di Andrea Camilleri. Si tratta de “La mossa del cavallo – C’era una volta Vigata”, affascinante opera storica ambientata nel Sud post-risorgimentale, in quella Sicilia tanto cara allo scrittore di Porto Empedocle. A partire dai paesaggi fino alla lingua parlata dai protagonisti, la serie tv riproporrà le pagine più interessanti di un giallo che a distanza di anni dalla pubblicazione, sa suscitare ancora l’interesse del pubblico.

“La mossa del cavallo” viene pubblicato per la prima volta da Rizzoli nel 1999, cinque anni dopo il primo successo del ben più famoso Montalbano. Ma il romanzo, definito dalla critica un giallo “in forma di farsa tragica”, non ha nulla da invidiare alla fortunata serie ambientata a Vigata anzi, ha moltissimo in comune con le storie che coinvolgono il commissario.

Le vicende si svolgono tra Montelusa e Vigata, la stessa città del commissario Montalbano, negli anni immediatamente successivi all'Unità d’Italia: sullo sfondo del giallo che coinvolgerà il protagonista, questioni storiche importanti, come i malumori contro la tassa sul macinato e il nascente fenomeno mafioso in Sicilia. I personaggi rispecchiano appieno l’epoca storica, in un mosaico di usi, costumi e modi di vivere che Camilleri ricostruisce in modo impeccabile e che oggi rivivranno sul piccolo schermo.

L'ispettore Bovara arriva a Montelusa

L'ispettore Giovanni Bovara viene inviato a Montelusa, nel cuore della Sicilia, per indagare sui sospetti episodi di corruzione e sulla morte, altrettanto sospetta, di ben due ispettori. Bovara poco ha a che fare con quella terra bruciata dal sole: pur essendo nato in Sicilia, nel piccolo borgo di Vigata, da piccolo si era trasferito con i genitori a Genova.

Arriva perciò da estraneo in un ambiente difficile, corrotto, attraversato da forti contrasti sociali e caratterizzato da una rete di complicità omertose radicate a fondo nella popolazione del luogo. Deciso a fare il suo dovere con integerrima ingenuità, Bovara presto si ritrova coinvolto nell’assassinio di don Artemio Carnazza: le ultime parole sussurrate dal prete, in stretto dialetto siciliano, potrebbero aiutarlo a risolvere il delitto se non fosse che lui, ormai genovese doc, non comprende il significato di quelle sillabe soffiate fuori fra la vita e la morte. In un crescendo di intrighi si ritroverà egli stesso accusato dell’assassinio di Carnazza, costretto a fare i conti con una terra e soprattutto, una lingua, che lui aveva dimenticato da tempo.

La lingua, unico vero strumento di salvezza

La lingua è la vera protagonista di questo romanzo storico di Camilleri. Nella narrazione s’intrecciano abilmente dialetto siciliano e ligure, e sarà proprio la riscoperta del dialetto a salvare Giovanni Bovara dalle accuse di omicidio. “Moro…moro…cuscinu”: le ultime parole della vittima saranno anche la chiave per risolvere il suo assassinio e non solo. Saranno il modo in cui, con non poche difficoltà, il protagonista si riconcilierà con quella terra così difficile da comprendere.

Tutte le difficoltà dell'ispettore di vivere a Montelusa e di affrontare il caso passano per la lingua: Bovara sogna e pensa in dialetto ligure, ritrovandosi così ad essere estraneo a quell’ambiente per lui così ostile. L’uomo non comprende quel mondo, e solo grazie alla “mossa del cavallo” riuscirà ad ampliare il proprio orizzonte linguistico e di azione: il cavallo, negli scacchi, è l’unico pezzo che può “scavalcare” gli altri.

Allo stesso modo Bovara “scavalcherà” le differenze linguistiche e culturali, riappropriandosi di un dialetto che, Camilleri lo spiega egregiamente, è anche un modo di vivere e di pensare: incominciando a parlare e a ragionare in siciliano, lingua dell’infanzia, il ragioniere comprenderà finalmente quella terra e riuscirà a ribaltare le accuse e a salvarsi.

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