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Opinioni

Perché non abbiamo più voglia di pubblicare le nostre foto sui social

Gli album della gita di classe, le catene di tag, l’Ice Bucket Challenge e i video riassunto delle amicizie su Facebook. I social sono sempre meno social e sempre più televisione: uno scroll infinito di format, creator e sponsorizzazioni che ci fa perdere la voglia di condividere le nostre immagini.
A cura di Valerio Berra
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Ottobre 2008. Ultimo anno di liceo. Wikipedia era già indispensabile per qualsiasi ricerca, su YouTube c’erano principalmente video di gattini e incidenti, le band che sognavano di essere intervistate da MTV investivano molto tempo su MySpace. Chiara Ferragni non aveva ancora aperto The Blond Salad. Verso quell’autunno anche nella provincia italiane è iniziato ad arrivare Facebook. Eravamo abituati ai blog di Msn. Pensavamo fossero il modo più facile per raccontarci. Sbagliavamo.

Nel 2008 su Facebook finiva buona parte della nostra vita. Album su album di foto delle gite del liceo, qualche citazione malcapita degli autori studiati a filosofia, le foto in cui taggare tutti i compagni di classe, i primi fidanzamenti ufficiali. Tutto da pc. Non esistevano smartphone ma esistevano i social. C’era chi aveva più amici, chi riusciva a strappare qualche like in più ma tutta la creator economy non era ancora iniziata. E non esisteva nemmeno il Social Media Day, la giornata dedicata ai social. Che, per inciso, si celebra oggi.

Quando i social erano i social

I social network quindi facevano i social network: connettevano le persone, facevano ritrovare amicizie passate e fornivano suggerimenti preziosi per provarci con la ragazza carina della classe accanto alla tua. D’altronde nel film The Social Network girato nel 2010 da David Fincher si fa coincidere la nascita di Facebook con la fine con la fine del rapporto tra Mark Zuckerberg e la sua prima fidanzata ai tempi di Harvard.

Provateci anche voi. Mentre scorrete indietro nei vostri post, mentre leggete i primi commenti o guardate gli album della gita a Mantova il sentimento che comincia a prevalere dovrebbe essere l’imbarazzo. Ma come facevamo a pubblicare tutti quei dettagli della nostra vita? Come facevamo a partecipare a tutte quelle catene di tag? All’Ice Bucket Challenge o a pubblicare i video di ricordo dell’amicizia su Facebook con un altro utente?

Le uniche foto che lasciamo sono quelle che durano 24 ore

Il social più scaricato negli ultimi due anni è stato TikTok. Ma più che un social è una piattaforma, uno strumento ottimo per chi vuole raggiungere migliaia di persone. Pessimo per costruire una rete sociale. Registrare un video da condividere non è facile per tutti. Bisogna piacersi, bisogna avere un’idea, bisogna confrontarsi con creator e aziende che investono tempo e strumenti per ogni video. Meglio continuare a scorrere, confidando nel fatto che l’algoritmo sa cosa è meglio per noi. Quasi sempre.

E così i nostri profili TikTok restano vuoti. I nostri profili Instagram conservano sempre meno foto. Statistica personale: nel 2020 ho pubblicato 35 foto su Instagram, nel 2021 mi sono fermato a 22, nel 2022 a 15, a metà del 2023 sono a 5. Restano, ogni tanto, le Story. Ma giusto perché dopo 24 ore spariscono. I profili della Gen Z sono sempre più vuoti, nessun post sul Grid, qualche Story in evidenza. Al netto di qualche iniziale entusiasmo, l’esperimento BeReal è discretamente naufragato.

Le poche foto che pubblichiamo fanno sempre meno interazioni. Anche noi preferiamo i contenuti professionali alle foto al mare dei nostri amici. Le pagine e i creator da seguire aumentano e così i social stanno diventando come una televisione. Si fa zapping da passando da una pagina all’altra, da un creator all’altro, con una fruizione sempre più passiva e una comunicazione che da pochi arriva a molti. Uno scroll infinito in cui non è chiaro se non abbiamo più niente da dire o se non abbiamo più un posto per dirlo.

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Vengo dalla provincia di Milano e dagli anni '90. Questo non dice tutto di me, ma quasi. Ora Capo Area della redazione Tecnologia e Scienze a Fanpage.it, prima cronista a Settegiorni, studente alla Scuola Walter Tobagi, stagista a RaiNews24, collaboratore al Corriere della Sera e membro della prima redazione di Open. 
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