“Non comprare i prodotti con 729 nel codice a barre”: il trend per boicottare Israele funziona davvero?

Su Instagram è comparso un nuovo adesivo che invita a non acquistare prodotti se il codice a barre inizia con il prefisso 729: l'obiettivo è boicottare Israele. La storia è stata condivisa da oltre 46.000 persone. Molti scrivono: "È l'unico modo per fare la nostra parte". Vero, ma quando si parla di boicottaggi mirati a livello internazionale, comprendere la provenienza reale dei prodotti è fondamentale e affidarsi esclusivamente al prefisso GS1 può risultare fuorviante.
GS1, un'organizzazione senza scopo di lucro che emette prefissi aziendali per i codici a barre, spiega sul suo sito ufficiale che "il prefisso GS1 non indica che il prodotto sia stato fabbricato in un determinato Paese o da un produttore specifico, potrebbe essere stato prodotto in qualsiasi parte del mondo".
Il prefisso GS1 indica solo il Paese in cui l’azienda ha registrato il codice a barre. Un prodotto con prefisso, ad esempio, 729, non significa automaticamente che sia stato fabbricato in Israele: può essere stato prodotto altrove da un’azienda registrata lì. Allo stesso modo, un’azienda può registrarsi in un Paese diverso da quello in cui produce realmente. Quindi il prefisso 729 è un indicatore parziale. Se l’obiettivo è evitare prodotti legati a Israele, il codice a barre da solo non basta.
Il movimento BDS: boicottaggi e solidarietà internazionale
I boicottaggi si inseriscono in un movimento più ampio portato avanti dal BDS, (Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni) guidato da organizzazioni palestinesi, che mira a mobilitare la pressione internazionale su Israele affinché ponga fine all’occupazione dei territori palestinesi.
Il BDS, nato quasi vent’anni fa come iniziativa non violenta, invita al boicottaggio di imprese israeliane e internazionali considerate complici delle violazioni dei diritti dei palestinesi. In passato il movimento ha promosso campagne per indurre le aziende a interrompere investimenti in Israele e a cessare le attività nei territori occupati della Cisgiordania.
Come dichiarato da Luqa AbuFarah, coordinatrice del Comitato nazionale BDS per il Nord America, al Times "il BDS è uno strumento per le persone che desiderano esprimere la propria solidarietà ai diritti umani dei palestinesi".
Etichette, registri e liste ufficiali: i dati sulla provenineza dei prodotti
Oltre all’elenco degli obiettivi del BDS, l’Ufficio delle Nazioni Unite per i diritti umani già nel 2020 aveva pubblicato un elenco di 112 entità commerciali che avevano legami con gli insediamenti israeliani, che sono considerati illegali ai sensi del diritto internazionale. Il professor Joseph Sonnenfeld dell’Università di Yale, invece, tiene traccia delle principali aziende di tutto il mondo che hanno espresso sostegno e solidarietà con Israele. Questi elenchi non si limitano a segnalare i marchi coinvolti, ma raccolgono anche dati più completi, come i luoghi in cui le aziende producono, gli investimenti che sostengono e le collaborazioni in cui sono impegnate.
Non solo. Se si vuole portare avanti un boicottaggio mirato è possibile anche controllare le etichette dei prodotti, che in molti Paesi riportano obbligatoriamente la dicitura “Made in …” e permettono così di conoscere il Paese di fabbricazione. Anche i registri doganali e commerciali offrono informazioni preziose, in quanto consentono di verificare l’origine delle merci e i canali attraverso cui vengono importate o esportate.
Sebbene strumenti come il prefisso GS1 possano offrire un primo punto di riferimento sull’azienda titolare di un prodotto, non bastano da soli per distinguere con certezza la provenienza dei beni. Per un boicottaggio efficace e responsabile è necessario integrare queste informazioni con etichette di origine, registri commerciali e liste ufficiali di aziende coinvolte.