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L’IA sta creando tre gradi fratture: cosa rivela il nuovo report globale di Microsoft

Il nuovo AI Diffusion Report di Microsoft rivela che oltre 1,2 miliardi di persone usano l’IA, ma la rivoluzione non è per tutti: divari infrastrutturali, mancanza di competenze e barriere linguistiche rischiano di escludere intere regioni dal futuro digitale.
A cura di Elisabetta Rosso
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L’intelligenza artificiale si sta diffondendo più velocemente di qualsiasi altra tecnologia nella storia — più di Internet, dei computer o dell’elettricità. È quanto emerge dal nuovo “AI Diffusion Report” di Microsoft, un’analisi su scala globale che traccia la mappa della diffusione dell’IA — misurando l’uso effettivo, la disponibilità di infrastrutture e la capacità dei Paesi di produrre innovazione. Secondo il documento oggi oltre 1,2 miliardi di persone utilizzano strumenti basati sull’AI.

Il documento, che copre oltre 160 Paesi, mostra come la corsa all’IA stia creando una nuova forma di divario digitale, in cui l’accesso alla tecnologia diventa una misura del potere economico, della competitività industriale e dell’influenza geopolitica. Alcune nazioni stanno costruendo intere economie sull’intelligenza artificiale; altre, invece, restano escluse dalla rivoluzione per mancanza di energia, infrastrutture, formazione o semplicemente per una questione linguistica. Dall'analisi del report abbiamo individuato tre grandi fratture che rischiano di definire chi potrà davvero beneficiare dell’AI e chi ne resterà escluso per decenni.

Il divario infrastrutturale: la potenza di calcolo come nuova disuguaglianza

Come riportato dall'AI Diffusion Report oltre 1,2 miliardi di persone usano strumenti di intelligenza artificiale. Tuttavia, la loro distribuzione non è uniforme. Secondo Microsoft, Paesi come Emirati Arabi Uniti (59,4%), Singapore (58,6%) e Norvegia (51,9%) guidano la corsa all’adozione dell’AI grazie a reti elettriche affidabili e Internet ad alta velocità.

All’estremo opposto, in molte aree dell’Africa subsahariana, del Sud-Est asiatico e dell’America Latina, meno del 10% della popolazione utilizza strumenti basati sull’intelligenza artificiale. Le cause sono strutturali: carenze energetiche, connessioni instabili, mancanza di dispositivi e infrastrutture di calcolo.

Il rapporto sottolinea come la capacità computazionale — misurata in gigawatt dei data center — sia la nuova metrica del potere tecnologico. Gli Stati Uniti dominano con 53,7 GW, seguiti dalla Cina (31,9 GW), dalla Germania (8,5 GW) e dal Regno Unito (7,4 GW). Senza energia affidabile, sostiene Microsoft, non può esserci rivoluzione digitale.

Accesso e competenze: la nuova frontiera della disuguaglianza globale

Non basta avere connessione: servono formazione e capitale umano. Il report distingue tre categorie chiave nel panorama dell’AI: Frontier builders, coloro che progettano i modelli, Infrastructure builders, chi fornisce potenza di calcolo e dati e AI users, le persone e le aziende che utilizzano le tecnologie.

La concentrazione dell’innovazione nei Paesi più ricchi — Stati Uniti, Regno Unito, Corea del Sud — sta amplificando il divario con il resto del mondo. In molte regioni, le scuole e le imprese non dispongono ancora delle competenze digitali di base per integrare i sistemi IA. Microsoft avverte che senza investimenti urgenti nell’educazione tecnologica, la disuguaglianza rischia di diventare sistemica, impedendo a intere economie di partecipare pienamente alla trasformazione digitale.

La barriera linguistica: quando l’AI parla (quasi solo) inglese

Il terzo ostacolo è linguistico. La maggior parte dei modelli di intelligenza artificiale è addestrata in inglese e in poche altre lingue, come il cinese. Questo significa che la maggior parte delle lingue – sono oltre 7.000 – è praticamente assente dai sistemi di IA.

Lingue ampiamente parlate come l’hausa in Africa occidentale, il bengalese in Asia meridionale o il chichewa in Malawi restano marginali nei dataset che alimentano i modelli più avanzati. Per milioni di persone, questo si traduce in una barriera culturale e comunicativa: interfacce che non comprendono le loro richieste, strumenti che ignorano i loro contesti sociali e culturali, e un senso di esclusione dalla “rivoluzione” dell’intelligenza artificiale.

Il rischio quindi è di una rivoluzione a due velocità. Senza infrastrutture, competenze e inclusione linguistica, l’intelligenza artificiale non sarà una tecnologia globale, ma un privilegio concentrato in poche mani. La corsa all’intelligenza artificiale, dunque, non è solo una questione di algoritmi o innovazione: è una sfida politica, educativa e culturale. E il futuro digitale del mondo dipenderà da quanto in fretta — e con quanta equità — sapremo colmare queste tre fratture.

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