Il nuovo studio che svela tutti i lavori a rischio con l’intelligenza artificiale: qualcosa non torna

Entro il 2035 fino a tre milioni di posti di lavoro a bassa qualifica potrebbero sparire a causa dell’intelligenza artificiale. Sono i dati del nuovo rapporto della National Foundation for Educational Research (NFER) focalizzato sul mercato inglese. Tra le professioni più a rischio ci sarebbero l'artigianato, la gestione di macchinari e i ruoli amministrativi. Al contrario, il documento sottolinea come le figure altamente qualificate possano vedere un aumento della domanda.
Con l’espansione delle tecnologie intelligenti, infatti, i carichi di lavoro complessi potrebbero crescere, almeno nel breve e medio periodo, creando opportunità per professionisti specializzati. Nel complesso, il rapporto prevede un incremento netto di circa 2,3 milioni di posti di lavoro nel Regno Unito entro il 2035, ma distribuito in modo non uniforme tra settori e livelli di competenza.
Queste previsioni contrastano però con altri studi recenti, che suggeriscono un impatto maggiore dell’IA su occupazioni tecniche e altamente qualificate, come ingegneri del software e consulenti manageriali, rispetto ai lavori manuali o tradizionali.
Quali lavori sono davvero a rischio? I dati contrastanti sull’IA
Non è chiaro quali saranno le professioni più a rischio. I risultati degli studi sono contrastati. E infatti, secondo una ricerca di King’s College London, pubblicata lo scorso ottobre, tra il 2021 e il 2025 le aziende ad alta retribuzione hanno registrato perdite occupazionali intorno al 9,4%, molte legate lancio di ChatGPT a fine 2022. Tra i lavori più esposti all’IA ci sarebbero consulenti manageriali, psicologi e professionisti legali, mentre figure come sportivi e muratori risultano meno vulnerabili alla sostituzione tecnologica. Una tendenza opposta a quella segnalata dal rapporto dell' NFER.
Gli effetti dell'IA si stanno però già vedendo nel settore privato. La scorsa settimana lo studio legale Clifford Chance ha annunciato il taglio di circa il 10% del personale dei servizi aziendali nella sede di Londra, pari a circa 50 posti di lavoro, attribuendo parte della decisione all’adozione di strumenti di intelligenza artificiale. Il CEO di PwC, invece, ha ridimensionato i piani di assunzione previsti tra il 2021 e il 2026 dichiarando che "il mondo è cambiato" e che l’IA ha modificato le esigenze aziendali.
Disoccupazione e riconversione: il nodo critico dell’IA
Jude Hillary, uno degli autori del rapporto NFER, invita alla cautela: "Le previsioni su perdite di posti di lavoro legate all’IA potrebbero essere premature". Secondo Hillary, molte delle riduzioni di personale attribuite all’adozione dell’IA potrebbero essere invece il risultato di una crescita economica stagnante, costi crescenti per assicurazioni e previdenza nazionale, e una generale avversione al rischio da parte dei datori di lavoro.
"Molti imprenditori stanno semplicemente aspettando di capire come evolverà la situazione", ha spiegato Hillary al Guardian. "Si sta discutendo molto sull’automazione e sull’intelligenza artificiale, ma spesso senza dati concreti. L’incertezza regna sovrana".
Il rapporto NFER evidenzia che l’effetto complessivo dell’IA sul mercato del lavoro sarà complesso e differenziato: aumento della domanda per alcune figure professionali, riduzione per molti ruoli entry-level e forte erosione per le professioni a bassa qualificazione. Quest’ultimo punto rappresenta la sfida più grave: le persone che perdono lavori meno qualificati incontreranno grandi difficoltà nel riconvertirsi in un’economia in rapida evoluzione.
"Coloro che rischiano di essere dislocati – tra uno e tre milioni secondo il nostro studio – affrontano barriere significative per rientrare nel mercato del lavoro", conclude Hillary. L’analisi NFER evidenzia le contraddizioni tra promesse di innovazione e realtà occupazionale, sottolineando l’importanza di politiche mirate per la formazione e la riconversione professionale.