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“Il divieto alla carne coltivata è un errore, l’Italia rimarrà indietro ancora una volta”

La legge che vieta la produzione e la vendita della carne prodotta in laboratorio è stata approvata dal Parlamento. I promotori hanno portato avanti una narrazione fuorviante che gioca sull’ignoranza.
Intervista a Francesca Gallelli
Consulente per il public affairs di Good Food Institute Europe per l'Italia
A cura di Elisabetta Rosso
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Dopo l’approvazione al Senato a luglio, il 16 novembre anche la Camera ha approvato il disegno di legge che vieta di produrre e di mettere in commercio "alimenti e mangimi costituiti, isolati o prodotti a partire da colture cellulari o di tessuti derivanti da animali vertebrati", in altre parole la carne coltivata. E questo è un problema per l'Italia. "Ci sono già start up che, prima ancora dell'approvazione del disegno di legge, hanno visto diversi investitori abbandonare il tavolo di negoziazione. Questo è un primo esempio concreto sulle conseguenze del divieto", ha raccontato a Fanpage.it Francesca Gallelli, consulente per il public affairs di Good Food Institute Europe, una ONG che contribuisce a costruire un sistema alimentare più sostenibile.

Per bandire la carne artificiale sembra sia stata creata una scienza ad hoc fatta di allevamenti di feti, cellule impazzite che proliferano, e minacce per gli allevatori. Tutto falso. La carne sintetica viene infatti prodotta a partire dalle cellule staminali embrionali di un animale, coltivate poi in un ambiente privo di contaminanti, e senza l’uso di antibiotici. "Ci siamo messi in una posizione di svantaggio competitivo che sarà molto difficile da recuperare, perché questa è una tecnologia complessa", spiega Gallelli, "nel momento in cui avanza in altri Paesi recuperare quello scarto non sarà facile".

Perché il divieto di produrre e vendere carne coltivata può essere un problema?

Questo divieto preclude all’Italia delle opportunità importantissime per lo sviluppo sostenibile tagliandola fuori dagli investimenti europei e allontanando gli investitori. Crea anche un problema per i diritti dei consumatori, gli italiani sono stati privati della possibilità di consumare carne coltivata quando verrà immessa sul mercato. E poi c’è un altro problema.

Quale?

La legge è stata sottratta ad una verifica preliminare che l’Unione europea avrebbe dovuto svolgere. C’è una procedura che si chiama TRIS che serve agli stati membri e alla Commissione per analizzare i disegni di legge che riguardano il mercato unico, come questo. Così se ci sono delle criticità vengono immediatamente risolte. L’Italia aveva inviato questa notifica a fine luglio, a sorpresa però a inizio ottobre, un mese prima che scadesse il termine per la verifica, ha ritirato la notifica.

A Singapore e negli Stati Uniti è stata approvata la commercializzazione della carne coltivata in laboratorio. In Europa si stanno muovendo i primi passi per produrre carne coltivata?

Questo è un altro tema interessante. In Europa la carne coltivata non è ancora arrivata, non esiste nessuna azienda che a oggi ha inviato un dossier per l’immissione sul mercato all’Agenzia europea per la sicurezza alimentare (Efsa). Le uniche richieste sono state inviate da un’azienda israeliana, Aleph Farms, in Svizzera e nel Regno Unito. Per ora siamo molto lontani.

Ma ci sono Paesi che stanno investendo?

Assolutamente. Leader è l’Olanda, ha un programma di finanziamento di 60 milioni di euro per accelerare la ricerca e la produzione di proteine alternative, tra cui la carne coltivata. Il governo spagnolo ha investito 5,2 milioni di euro in un progetto che studia il potenziale della carne coltivata nel prevenire le malattie legate all’alimentazione. Quindi anche Paesi con una cultura del cibo simile a quella italiana stanno investendo sulla carne coltivata.

C’è una base scientifica per sostenere che la carne coltivata sia un rischio per salute?

No, non ci sono evidenze scientifiche, infatti c’è stata una grande disinformazione su questo punto, alcuni promotori della legge hanno citato in modo erroneo un importante report della Fao dedicato a questo tema.

Cosa hanno detto?

Il report è stato redatto da esperti per valutare i rischi potenziali (hazards) della carne coltivata, e hanno spiegato che questi sono identici a quelli che troviamo in ogni produzione alimentare. Esattamente come quando facciamo il formaggio, se si contamina è un problema. I promotori della legge hanno invece interpretato in modo erroneo questi dati, usando la parola rischi in modo generico e senza il contesto necessario.

E poi ogni prodotto deve superare l’esame dell’Efsa. 

Sì, quando andrà a valutare la sicurezza alimentare della carne coltivata analizzerà prodotti specifici che le verranno sottoposti. Quindi non possono essere immessi sul mercato prodotti pericolosi per la salute.

Nel caso approvasse un prodotto di carne coltivata sarebbe un problema per l’Italia?

Sarebbe un momento cruciale, se l’Efsa approvasse un prodotto di carne coltivata a quel punto per il principio del mercato unico potrà essere venduta anche in Italia.

I promotori della legge dicono anche che “i prodotti da laboratorio non garantiscono la qualità”, ma è vero?

Anche in questo caso non c’è nessuna evidenza scientifica. Che poi, queste valutazioni come per i rischi per la salute andrebbero fatte su prodotti specifici.

Quali sono i vantaggi della carne prodotta in laboratorio? 

Allora, prima di tutto non vengono usati antibiotici nella produzione, poi non sono presenti patogeni diffusi nelle carni animali come la salmonella o l’escherichia coli. C’è poi l’impatto ambientale. Il mondo non potrebbe raggiungere gli obiettivi degli accordi di Parigi senza abbandonare l’agricoltura animale convenzionale. È necessario per ridurre le emissioni di gas serra.

Ci sono dei dati? 

Studi peer-reviewed hanno dimostrato che la carne coltivata potrebbe ridurre le emissioni di gas a effetto serra della carne bovina del 92%, e ridurre l'uso del suolo del 90%.

L’introduzione della carne coltivata sul mercato cosa cambierebbe? 

Qua sfatiamo un altro grande mito. I promotori della legge hanno infatti detto che vogliono tutelare l’allevamento tradizionale. In realtà la carne coltivata non è una minaccia né per gli allevatori né per l’eccellenza italiana. I prodotti a base di carne coltivata non hanno nulla a che vedere con una fiorentina.

E con chi entra in concorrenza?

Al massimo vai a sostituire i prodotti che arrivano dagli allevamenti intensivi: hamburger, wurstel, nuggets, insomma i prodotti trasformati. Si stanno inoltre studiando e sperimentando soluzioni che permettano agli stessi allevatori di far parte della filiera della carne coltivata, in Olanda ad esempio stanno sperimentando la produzione di carne coltivata all'interno degli stessi allevamenti. E poi c’è anche da sottolineare un altro aspetto. L’Italia è fortemente dipendente dall’estero per quanto riguarda il suo mercato della carne. Ne importiamo moltissima.

Quanta?

I dati ISMEA ci dicono che il 58% della carne bovina arriva dall’estero. Perchè non colmare questo gap con carne coltivata dalle imprese italiane? Un domani, si intende, dal momento che per adesso anche nei Paesi dove è stata approvata come Stati Uniti o Singapore, la produzione è ancora su piccola scala e non riesce a sostenere la domanda.

Ecco, ma i consumatori vogliono la carne sintetica?

Un sondaggio di Meat Science ha rilevato che più della metà dei consumatori italiani è interessato a provare la carne coltivata, e poi sempre più persone stanno scegliendo diete sostenibili, il 40% della popolazione europea vuole ridurre il consumo di carne per motivi etici, in questo caso quella coltivata potrebbe essere un’ottima alternativa.

La scelta del governo rischia di bloccare la ricerca? 

Beh sicuramente per il settore privato l’Italia non diventa un luogo attraente per gli investimenti, essendo questa la linea politica. Durante la discussione finale al Senato il ministro Lollobrigida ha sottolineato che il disegno di legge non riguarda la ricerca e si è impegnato a promuovere una ricerca pubblica. Noi speriamo si concretizzi.

Sì, ma molte aziende o start up potrebbero andarsene dall’Italia. 

Sta già succedendo. C’è una start up italiana che si occupa di fare ricerca sulla carne coltivata, ha segnalato che già solo per il disegno di legge, quindi ancora prima dell’approvazione, hanno visto alcuni investitori abbandonare il tavolo di negoziazione. Questo è un primo esempio concreto.

Cosa succede se l’Italia rimane indietro?

L’Italia si è messa in una posizione di svantaggio competitivo che poi sarà molto difficile da recuperare, perché questa è una tecnologia molto complessa. Nel momento in cui avanza in altri Paesi recuperare quello scarto non sarà facile.

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