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Il caso Don Alberto, il prete dei social fa una pubblicità agli integratori: “I soldi non sono il male”

Don Alberto Ravagnani, il prete dei social, è finito al centro di una polemica dopo aver pubblicato un video sul suo profilo Instagram in cui ha sponsorizzato degli integratori. A Fanpage.it ha commentato: “C’è un’idea stereotipata dei soldi nella Chiesa, non se ne può parlare, ma sono un problema solo quando diventano il fine”.
Intervista a Don Alberto Ravagnani
Prete e content creator
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Di don Alberto Ravagnani avevamo già parlato in più occasioni: classe 1993, brianzolo, don Alberto è stato uno dei primi sacerdoti a utilizzare i social, non solo come spazio privato, ma come luogo in cui svolgere la sua missione di evangelizzazione. Ha aperto il suo profilo Instagram durante i primi tempi, quelli più difficili, del Covid, e da allora ha raccolto davvero moltissimi seguaci (o follower, dipende dal punto di vista). Qui ha portato un modo di essere sacerdote diverso da quello tradizionale: non solo video di divulgazione e dibattito su temi religiosi, ma anche feste, sport e viaggi con i ragazzi dell'oratorio. Oggi è seguito da oltre 270.000 follower.

Qualche giorno fa, però, un suo reel pubblicato su Instagram è stato giudicato da molti come troppo moderno, ed è scattata la polemica. Nel video in questione don Alberto ha sponsorizzato un brand di integratori, parlando della sua vita, e quindi anche della sua missione. Il reel è accompagnato dallo slogan: "Santo sì, ma anche sano", con tanto di emoji con occhiolino, ma questa non è bastata a convincere gli utenti che non hanno gradito il contenuto sponsorizzato: "Stai oltrepassando il limite Don, un sacerdote deve fare altro", scrive un utente nei commenti.

Fanpage.it ha contattato don Alberto per un commento su tutta la polemica che ormai da tre giorni lo vede protagonista.

Don Alberto, era la prima volta che facevi un contenuto sponsorizzato?

No, non era la prima volta. Ho collaborato per tanto tempo con un'azienda di articoli religiosi, e anche con una casa editrice per un libro a tema religioso. Per questo credo che il motivo per cui questo contenuto abbia suscitato così tante polemiche risieda proprio nel fatto che pubblicizzo degli integratori.

Secondo te perché il motivo sono proprio gli integratori?

Perché gli integratori riguardano qualcosa che non attiene direttamente a ciò che tradizionalmente associamo al mondo della religione. Però questo mi fa venire in mente due temi.

Quali?

Il primo è l'idea che le persone hanno della figura del prete. Molti sono ancora legati a un'idea sacrale del prete, quindi in questa visione siamo autorizzati a parlare soltanto di preghiera, di vita spirituale, a celebrare le liturgie e basta.

E il secondo tema qual è?

Forse nel mondo cattolico c'è ancora un pregiudizio rispetto al tema del corpo. Tutto quello che ha che fare con il corpo viene sempre dopo ciò che riguarda l'anima e lo spirito, come se noi non fossimo anche corpo e non dovessimo prendercene cura, quasi come se fosse un peso. Questa è un'eredità pesante che la Chiesa si porta dietro, nonostante in realtà l'incarnazione sia uno dei dogmi fondamentali della fede cristiana. Per questo penso che un cristianesimo che non è in grado di comprendere e valorizzare il corpo in maniera integrata con la mente e lo spirito, è un cristianesimo poco cristiano.

Non pensi che le polemiche siano nate anche dal fatto che ci siano in mezzo i soldi?

Sì, certo anche quello è un tema. Però anche su questo punto mi chiedo da dove nasca la polemica. I soldi sono sempre entrati nelle chiese, nelle diocesi. I preti normalmente li gestiscono per le attività pastorali, parrocchiali, per le grandi opere. Non è diverso dal mio caso.

Ci puoi spiegare meglio.

Anche io sono un prete che fa la sua missione di evangelizzazione, ma la differenza è che la fa online, sui social. Quindi io lavoro con i video, mi piacerebbe fare un podcast, ma per farlo mi servono strumenti tecnologici e altre attrezzature anche costose.

Parliamo di attività che non si rivolgono a una comunità parrocchiale, territoriale, in presenza, a cui posso chiedere finanziamenti o per cui posso organizzare attività per raccogliere dei fondi, come una vendita di torte o altre cose di questo genere che può fare un prete tradizionale. Allora come faccio a recuperare questi soldi?

Quindi i guadagni dei contenuti sponsorizzati che pubblichi in cosa li usi?

Appunto per le spese necessarie che servono alle mie attività di evangelizzazione.

Da qualche tempo la Chiesa ha creato un Dicastero della Comunicazione per i sacerdoti che come te sono attivi sui social. Prevede delle regole sui contenuti sponsorizzati o non avete vincoli particolari?

Questo è un altro tema molto vasto. In realtà non ci sono indicazioni particolari o particolarmente stringenti, perché è un mondo completamente nuovo. Come tutti gli altri sacerdoti dobbiamo seguire i criteri pastorali, ma non abbiamo una regolamentazione netta.

In contesti tradizionali, la missione della Chiesa avviene per tradizione, le competenze vengono imparate per esperienza: cioè impari a fare il prete guardando quello che fanno gli altri preti. Ma non c'è una tradizione nella missione online, è qualcosa di nuovo e quindi si sta scoprendo per tentativi, non c'è ancora una prassi sistematica.

A parte la polemica social hai avuto delle conseguenze interne alla Chiesa?

No, di nessun tipo. La polemica è nata e vive nei social.

Hai perso dei follower da quando hai pubblicato il reel con la sponsorizzazione?

No, no, anzi sono cresciuti.

Da chi arrivano le critiche allora?

Le critiche e i commenti da cui è partita la polemica arrivano da chi ha una visione tradizionalista della Chiesa, magari chi ha un'età avanzata o un'esperienza di Chiesa tradizionale, ma per i giovani e in generale quelli che si aspettano una Chiesa un po' più aperta non c'è nulla di strano. Io ho parlato con tanti ragazzi in questi giovani e mi hanno detto: "Per noi è normale vedere influencer che sponsorizzano prodotti".

Ma se un prete volesse potrebbe guadagnare da sponsorizzazioni?

In quanto preti abbiamo faccio una promessa di povertà. Povertà però non significa non vedere i soldi e privarsi di qualsiasi cosa, significa riuscire a far passare dalle tue mani i soldi per spenderli e fare delle cose buone. Ma è così da sempre, basti pensare a tutte le basiliche e le altre opere fatte costruire storicamente dalla Chiesa. Certo, la vita di un prete è finalizzata alla missione, ma questo non significa che i preti non possono comprarsi l'automobile o il cellulare, per fare un esempio.

Abbiamo creato un'idea stereotipata, per cui c'è la paura di parlare di soldi nella Chiesa, finché i soldi sono finalizzati alla missione, quindi l'evangelizzazione, non rappresentano il male. Se i soldi non sono più un mezzo ma il fine, allora quello è un problema.

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