Cosa sono le bombe sonore sganciate dai droni contro la Flotilla diretta a Gaza

Come documentato anche dall'inviato di Fanpage.it Saverio Tommasi, che si trova a bordo della nave Tom, nella notte tra il 23 e il 24 settembre la Global Sumud Flotilla è stata oggetto di attacchi con droni durati diverse ore. Tra gli ordigni sganciati dai velivoli controllati da remoto vi sono state anche delle cosiddette “bombe sonore”, che come suggerisce il nome sono in grado di produrre un fortissimo boato. Sono conosciute anche come granate stordenti, flashbang e altri nomi affini.
Pur trattandosi di ordigni esplosivi considerati “non letali”, se esplodono molto vicino a una persona possono in realtà ferirla seriamente e potenzialmente ucciderla. Inoltre hanno un potere incendiario (anche a causa dell'intenso calore rilasciato) e possono causare danni attraverso le onde d'urto. Non a caso, a seguito degli attacchi alla Flotilla di stanotte, alcune imbarcazioni di Italia, Polonia e Regno Unito sono rimaste danneggiate; fra quelle più colpite la nave Zefiro che ha perso l'albero maestro e la nave Morgana. Le bombe sonore non vanno confuse con le armi soniche, come quelle potenzialmente utilizzate dalla polizia serba durante le manifestazioni contro il governo e il presidente Aleksandar Vucic.
L'associazione American Civil Liberties Unions (ACLU) in questo documento spiega che bombe sonore furono in sviluppate in origine negli anni '60 dal British Special Air Service, per simulare veri ordigni esplosivi per l'addestramento militare. In breve tempo gli istruttori si accorsero che potevano essere efficacemente impiegate per stordire e inabilitare le persone, così divennero un equipaggiamento standard per le polizie, ad esempio quelle specializzate nell'antiterrorismo. Oltre ai fortissimi boati, questi ordigni possono emettere flash accecanti (da qui il nome flashbang) che favoriscono lo stordimento e il disorientamento di chi ne viene investito. Possono instillare anche senso di panico e far perdere l'equilibrio. Negli ultimi anni è aumentato il controverso utilizzo di queste armi per il controllo delle folle.
Come spiegato nell'articolo “Sound Bomb Technology” pubblicato sulla rivista scientifica International Journal of Science, Engineering and Technology, queste bombe in genere producono onde sonore “a livelli di decibel estremi, tipicamente superiori a 160 dB”, inoltre possono produrre onde d'urto “in grado di causare danni fisici, disorientamento o incapacità”. I danni non letali più significativi possono essere causati all'apparato uditivo: la rottura dei timpani e la perdita permanente dell'udito è stata documentata fra alcune delle persone rimaste coinvolte da queste esplosioni. Le onde d'urto possono anche scagliare le persone contro oggetti solidi provocando vari tipi di lesioni (esplodendo sul ponte di una nave potrebbero far finire le persone in acqua). L'ACLU segnala anche conseguenze respiratorie e a livello psichiatrico. A differenza delle granate a frammentazione, l'involucro delle flashbang in cui sono inserite le miscele esplosive è progettato per restare integro. Fra le sostanze impiegate figurano magnesio, alluminio e nitrato di potassio.
Stando ai racconti degli equipaggi della Global Sumud Flotilla, i droni pesanti – senza luci di segnalazioni – oltre che con le sopracitate bombe sonore hanno attaccato le navi sganciando anche con altri ordigni. Sono stati rilasciati spray urticanti e altre sostanze non identificate. Segnalate anche interferenze alle comunicazioni radio. Fortunatamente gli attacchi non hanno provocato feriti, ma a causa dei danni alle vele ora le navi devono procedere verso Gaza coi motori a gasolio.
Alla luce della gravità di questi attacchi, avvenuti a sud di Creta (Grecia) in acque internazionali, il governo italiano ha inviato a supporto e difesa degli attivisti la fregata della Marina militare “Fasan”, che è in grado di respingere e abbattere i droni. Al momento non è noto chi siano i responsabili degli attacchi, ma i sospetti si concentrano su Israele. Per ora le circa 40 imbarcazioni della Flotilla – che portano aiuti per la popolazione palestinese – navigano in acque internazionali, ma non è chiaro cosa accadrà quando entreranno in quelle controllate dallo stato ebraico, dove vige un blocco navale.