Cosa rischia chi ha pubblicato una foto sul gruppo Mia Moglie: la risposta del Garante

Il gruppo Facebook Mia Moglie è stato chiuso. La decisione è arrivata da Meta, dopo le segnalazioni degli utenti e dei giornali. Mia Moglie era un gruppo Facebook in cui all’apparenza gli utenti, quasi tutti uomini, condividevano le foto delle loro compagne. Di fatto era un archivio di immagini di donne pubblicate senza consenso. Non è possibile capire con certezza da dove provenissero. Se fossero davvero le compagne degli utenti, degli scatti provenienti da altri gruppi, immagini rubate al mare o ancora prese da altri profili.
La discussione però è rimasta aperta, anche perché sui social non è difficile trovare spazi simili. Gruppi, chat o canali in cui vengono pubblicate foto di donne senza consenso. Alcune volte, come il caso di Mia Moglie, sono condivisioni che hanno come obiettivo quello di sessualizzare il corpo ritratto nella foto. In altri casi invece sono immagini condivise con leggerezza, come nei gruppi per i fotomontaggi, ma comunque senza consenso.
Ne abbiamo parlato con Guido Scorza, avvocato e Componente del Garante per la protezione dei dati personali. Scorza ha spiegato che in linea di massima gli utenti che hanno condiviso questi dati possono essere sanzionati ma il modo per farlo non è così facile.
L’anomalia del gruppo Facebook Mia Moglie
Secondo Scorza il caso del gruppo Facebook Mia Moglie è stato un’eccezione, dovuta probabilmente alla scelta degli utenti di muoversi nelle zone grigie delle policy di Meta: “Questo gruppo è stato un’anomalia. Ho seguito il caso, anche se poi di fatto non siamo intervenuti noi. Immagino che il gruppo sia riuscito a muoversi, anche per parecchi anni, perché non ha mai superato il confine del sessualmente esplicito. Non c'erano solo foto di nudo, per intenderci, che invece avrebbero fatto scattare un blocco dall'algoritmo”.
Le violazioni commesse dagli utenti che hanno pubblicato materiali sul gruppo
Secondo Guido Scorza, in linea di principio, è possibile sanzionare chi pubblica fotografie senza il consenso della persona ritratta: “Per noi è una diffusione non autorizzata, una scelta che viola la privacy e la protezione del dato personale”. Il percorso però per arrivare a una sanzione, almeno per la strada del Garante, è più complesso.
Prima di tutto il passaggio non è automatico: “Se dovessimo ricevere il reclamo di una delle donne esposte allora potremmo aprire un procedimento nei confronti dell’utente che ha diffuso l’immagine”. Non c’è una sanzione fissa: “La sanzione è proporzionata alle capacità patrimoniali. Non c’è una tabella ma si decide di caso in caso. Certo, non parliamo di sanzioni leggere. Lo scopo è impedire che venga replicato il reato”.
Il problema resta lo storico. In genere il Garante si muove soprattutto quando ci sono violazioni che vengono fatte da aziende o società che non seguono in modo corretto le indicazioni sulla gestione dei dati personali. Come spiega Scorza, il numero di casi relativi a singoli cittadini che sono stati presi in considerazione è “statisticamente poco rilevante”.