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Un vaccino a mRNA può aiutare nella lotta al cancro della pelle

Grazie alla tecnologia a mRNA usata per i vaccini anti Covid è possibile mettere a punto un vaccino contro il melanoma, il più letale cancro della pelle.
A cura di Andrea Centini
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Da anni gli scienziati stanno ricercando un vaccino per prevenire il melanoma, la forma di cancro della pelle più letale, oltre che una delle più diffuse in assoluto. Basti pensare che nei soli Stati Uniti si registrano circa 60mila morti all'anno, mentre in Italia sono 1.500, pari a 130 mese, più di 4 al giorno. Una possibile soluzione contro questa mortale patologia potrebbe arrivare dalla tecnologia a RNA messaggero (mRNA), la stessa sfruttata nei vaccini anti CovidComirnaty” e “Spikevax”, messi a punto rispettivamente da Pfizer-BioNTech e da Moderna-NIAID. In questo momento sono in sperimentazione due vaccini a mRNA di Pfizer contro il melanoma (BNT111 e il BNT131), che spingono le cellule umane a produrre quattro antigeni legati al tumore per potenziare l'efficacia dei linfociti T. Ma all'orizzonte c'è un altro potenziale vaccino anti cancro a mRNA che si basa su un principio differente: punta infatti ad aumentare la concentrazione delle proteine antiossidanti, con l'obiettivo di potenziare le difese contro le mutazioni nel DNA scatenate dalla luce solare (che assieme alle lampade abbronzanti è il principale fattore di rischio per il melanoma).

A gettare le basi per questo rivoluzionario vaccino candidato è stato un team di ricerca internazionale guidato da scienziati del College di Farmacia dell'Università Statale dell'Oregon (OSU), che hanno collaborato stretto contatto con i colleghi della Corvallis High School, dell'Istituto di chimica della melanina dell'Università della Salute di Fujita (Giappone), del College di Farmacia dell'Università dello Utah e di vari dipartimenti dell'Università della Scienza e della Salute dell'Oregon. Gli scienziati, coordinati dal professor Arup K. Indra, docente presso il Dipartimento di Scienze Farmaceutiche dell'ateneo di Corvallis, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver condotto alcuni esperimenti con modelli murini (topi). Per capire cosa è stato fatto è doveroso spiegare cosa accade durante l'abbronzatura. Quando ci esponiamo alla radiazione solare (ultravioletti compresi), i melanociti si attivano per proteggergi scurendo il colore della pelle attraverso la produzione di melanina. I raggi ad alta energia sono infatti in grado di strappare elettroni dalle molecole e catalizzare mutazioni nel DNA. Il processo dell'abbronzatura non è però a "costo zero", dato che vengono rilasciati dei sottoprodotti ossidativi chiamati specie reattive dell'ossigeno. Per tenere a bada questi sottoprodotti, il nostro organismo produce sostanze antiossidanti come l'enzima tioredossina reduttasi 1 (TR1)

Il team guidato dal professor Indra ha rimosso da topi geneticamente modificati il gene TXNRD, responsabile della codifica della tioredossina reduttasi 1, che viene rilasciato dai melanociti per compensare la produzione dei sopracitati sottoprodotti ossidativi. Dalle analisi di laboratorio è apparso evidente che potenziare l'attivazione del suddetto gene – con l'obiettivo di aumentare la produzione delle proteine antiossidanti – si può ottenere uno scudo più efficace contro gli effetti della radiazione solare e dunque (potenzialmente) prevenire il cancro della pelle. È qui che entra in gioco il vaccino a mRNA. In parole semplici, invece di fornire l'istruzione per produrre la proteina S o Spike del coronavirus SARS-CoV-2, il vaccino anti melanoma fornirebbe quella di produrre più proteine antiossidanti come la tioredossina reduttasi 1. Grazie a questo extra le cellule dovrebbero diventare più "brave" a fronteggiare lo stress ossidativo scatenato dalla luce ultravioletta e dunque a difenderci dal rischio di cancro. “Le persone a maggior rischio di cancro della pelle, come coloro che lavorano all'aperto in climi soleggiati, potrebbero idealmente essere vaccinate una volta all'anno”, suggerisce l'autore principale dello studio.

Per quanto promettente è necessario che il vaccino candidato venga ampiamente testato in laboratorio, dato che “armeggiare” col gene TXNRD può presentare diversi rischi (il gene è anche legato alla migrazione delle cellule tumorali). “Tutto deve essere testato e convalidato in modelli preclinici”, ha dichiarato il professor Indra. “Dobbiamo generare un vaccino a mRNA, consegnarlo localmente o sistematicamente e quindi monitorare come aumenta le difese dell'organismo. Chiaramente siamo sulla punta dell'iceberg, ma le possibilità sono interessanti per prevenire diversi tipi di progressione di malattie, incluso il cancro, modulando il sistema antiossidante del corpo”, ha concluso lo scienziato. I dettagli della ricerca “Thioredoxin Reductase 1 Modulates Pigmentation and Photobiology of Murine Melanocytes in vivo” sono stati pubblicati sulla rivista scientifica specializzata Journal of Investigative Dermatology.

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