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Un dodo estinto potrebbe essere riportato in vita ora che il suo genoma è stato sequenziato

Si tratta di una specie di uccello scomparsa nel XVII secolo, il cui DNA è stato ottenuto da un esemplare conservato in Danimarca.
A cura di Valeria Aiello
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Scheletro e ricostruzione di Raphus cucullatus presso il Museo di storia naturale dell'Università di Oxford / Wikipedia
Scheletro e ricostruzione di Raphus cucullatus presso il Museo di storia naturale dell'Università di Oxford / Wikipedia

L’intero genoma del dodo, un uccello estinto nel XVII secolo, è stato completamente sequenziato dal team di ricerca guidato da Beth Shapiro, professoressa di ecologia e biologia evolutiva presso l’Università della California a Santa Cruz, facendo sperare che il pennuto scomparso possa essere riportato in vita mediante tecniche di ingegneria genetica.

La notizia del sequenziamento, riporta l’NZ Herlald, è stata annunciata in occasione di un webinair della Royal Society of Medicine, dopo che i ricercatori hanno cercato a lungo di ottenere il DNA del dodo da un esemplare che si trova a Oxford. “Ma quel particolare campione non aveva il DNA sufficientemente ben conservato” ha precisato Shapiro, che ha spiegato di aver trovato insieme al suo team un “esemplare fantastico” in Danimarca, presso il Museo di Storia Naturale di Copenaghen. Alla domanda, se il genoma di questo dodo fosse stato completamente sequenziato, la professoressa ha risposto di sì. “Abbiamo il corredo genetico completo ma non è ancora stato pubblicato. Ci stiamo lavorando proprio adesso”.

Abbiamo quindi un genoma di dodo di altissima qualità e copertura elevata, che sarà presto condiviso” ha aggiunto Shapiro, avvertendo che potrebbe comunque essere ancora complicato riportare indietro l’uccello.

Il famoso Dodo di Edwards, dipinto da Roelant Savery nel 1626
Il famoso Dodo di Edwards, dipinto da Roelant Savery nel 1626

Il dodo, noto anche come dronte (Raphus cucullatus) era un uccello columbiforme della famiglia Columbidae, endemico dell’isola di Mauritius, nell’Oceano Indiano, caratterizzato da un’altezza di circa 90 cm, peso intorno ai 25-30 kg e l’incapacità di volare. La sua estinzione, come premesso, risale al XVII secolo, ed è legata all’arrivo sull’isola dei coloni spagnoli e portoghesi, che distrussero il suo habitat naturale, condannandolo alla scomparsa disboscando l’isola e introducendo specie animali antagoniste, come maiali, ratti, cani, gatti e scimmie.

Un altro fattore che contribuì all’estinzione della specie fu la scarsa difendibilità della prole, dovuta alla nidificazione a terra e all’esigua mobilità degli individui della specie, come suggerito anche dal termine dodo, che deriva dal portoghese doudo (doido nella lingua moderna) che significa sempliciotto, forse inteso anche come “facile preda” per il movimento impacciato. Secondo alcune fonti, l’ultimo dodo sarebbe stato avvistato nel 1662, mentre altre riportano il 1681 come anno dell’estinzione.

Ora che abbiamo il suo genoma completo, riportare in vita il dodo è però una sfida per i ricercatori, in quanto si tratta di uccello. “Con i mammiferi è più semplice – ha indicato Shapiro – . Se abbiamo una cellula che vive in una piastra di laboratorio, e la modifichiamo in modo che contenga un po’ di DNA del dodo, come facciamo a trasformare quella cellula in un intero animale vivente che respira? Un modo per farlo è la clonazione, che è lo stesso approccio utilizzato per creare la pecora Dolly, ma non sappiamo ancora come applicarla agli uccelli, a causa della complessità dei loro percorsi riproduttivi”.

Secondo Shapiro “deve quindi esserci un approccio diverso, e ho pochi dubbi sul gatto che ci arriveremo, anche se questo è un ulteriore ostacolo che non abbiamo per i mammiferi”. Una strategia potrebbe essere quella di modificare il DNA di un’altra specie geneticamente correlata, come il piccione delle Nicobare, anche se secondo alcuni esperti l’esemplare che ne deriverebbe  potrebbe non assomigliare completamente all’uccello estinto.

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