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Un comune farmaco può aumentare il rischio di morte nelle donne dopo un infarto: i risultati di uno studio

Un importante studio condotto tra Spagna e Italia ha mostrato come i beta-bloccanti, normalmente prescritti dopo un infarto, non sembrano produrre effettivi benefici negli uomini, mentre nelle donne potrebbero perfino aumentare il rischio di morte, ricovero o recidiva.
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I beta-bloccanti sono una classe di farmaci in grado di agire sul cuore, riducendo la forza di contrazione e la frequenza. Per questa loro azione, tra le destinazioni d'uso per cui vengono tradizionalmente impiegati c'è il trattamento dell'infarto del miocardio, per ridurre il rischio di recidiva e di mortalità legata a questo evento.

Ora un nuovo studio (REBOOT), pubblicato sull'European Heart Journal e coordinato dai ricercatori del Centro Nacional de Investigaciones Cardiovasculares Carlos III di Madrid in collaborazione con l’Istituto Mario Negri di Milano, suggerisce però la necessità di una rivalutazione degli effettivi benefici dell'impiego di questi farmaci per il trattamento dell'infarto del miocardio. I risultati, presentati al Congresso della Società Europea di Cardiologia (ESC Congress 2025), hanno infatti mostrato come i beta-bloccanti agiscano in modo diverso nei due sessi, mettendo in dubbio le linee guida seguite finora nella loro prescrizione, soprattutto nelle donne colpite da un infarto.

Perché questo studio è molto importante

Lo studio REBOOT è considerato il più grande studio contemporaneo dedicato alla valutazione dei beta-bloccanti nei pazienti che sopravvivono a un infarto del miocardio senza un deterioramento moderato o grave della loro funzione cardiaca. È stato condotto su 8505 pazienti in 109 ospedali tra Spagna e Italia e, sebbene la percentuale di donne coinvolte resti inferiore a quella rappresentata dagli uomini, è comunque la più alta quota femminile presa in considerazione finora in uno studio sugli effetti dei beta-bloccanti dopo un infarto.

Tutti i partecipanti sono stati assegnati in modo casuale a due gruppi. I beta-bloccanti sono stati somministrati solo ai partecipanti del primo gruppo ed entrambi sono stati monitorati per 3,7 anni. Dopo il periodo di osservazione, i risultati emersi erano molto diversi da quelli che ci si sarebbe aspettati in base alle linee guida attuali sull'utilizzo dei beta-bloccanti. I risultati più significativi riguardavano gli effetti nelle donne.

I risultati

Infatti, mentre negli uomini l'assunzione di questi farmaci non ha portato né benefici né rischi significativi, nelle donne, invece, l’assunzione di beta-bloccanti è stata associata perfino a un aumento del rischio di morte, di un nuovo infarto o di ricovero per insufficienza cardiaca, rispetto alle pazienti che non assumevano il farmaco. Soprattutto nelle donne con funzione cardiaca normale, il rischio assoluto di mortalità era maggiore del 2,7% rispetto a chi non prendeva beta-bloccanti. Invece le donne che avevano subito, dopo l'infarto, una lieve deteriorazione della funzionalità cardiaca "non avevano un rischio eccessivo di esiti avversi se trattate con beta-bloccanti", spiegano gli autori.

Tuttavia, i ricercatori hanno anche osservato che in generale le donne che avevano subito un infarto avevano un profilo cardiovascolare peggiore rispetto agli uomini colpiti dallo stesso evento. Tanto che anche la mortalità registrata tra le donne era più elevata: 4,3% rispetto al 3,6% registrato tra gli uomini.

Rivalutare l'utilizzo nelle donne

In conclusione, questo studio conferma quanto già suggerito da altri studi, resi possibili anche grazie al crescente ruolo assegnato alla medicina di genere, ovvero "le donne che presentano un infarto hanno un profilo cardiovascolare peggiore e, cosa più importante, una prognosi peggiore rispetto agli uomini", spiega il dottor Borja Ibáñez, direttore scientifico del CNIC, ma allo stesso tempo aggiunge un dato nuovo: "I nostri dati mostrano anche che rispondono in modo diverso a un intervento comunemente prescritto, in questo caso i beta-bloccanti".

Lo studio conferma – come riassumono gli autori – che le malattie cardiovascolari si manifestano con differenze sostanziali nelle donne rispetto a quello che succede negli uomini. Non solo, i risultati suggeriscono anche che "la risposta ai farmaci non è necessariamente la stessa nelle donne e negli uomini. Questo studio dovrebbe promuovere il tanto necessario approccio specifico per sesso alle malattie cardiovascolari", ha aggiunto Valentín Fuster, tra i ricercatori che hanno lavorato allo studio.

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