“Studiare dinosauri è un sogno, vorrei cercarli in Antartide”: il racconto del paleontologo Filippo Bertozzo

Nei giorni scorsi sulla rivista scientifica specializzata Journal of Systematic Palaeontology è stato pubblicato uno studio dedicato alla scoperta di una nuova specie di dinosauro, l'iguanodonte Cariocecus bocagei vissuto nel Cretaceo superiore, circa 125 milioni di anni fa. Un contributo fondamentale alla descrizione del rettile preistorico, il cui fossile è stato rinvenuto nel 2016 nella Formazione Papo Seco in Portogallo, è stato dato dal giovane paleontologo italiano Filippo Bertozzo, che collabora presso il Royal Belgian Institute of Natural Sciences di Bruxelles (Belgio). Fanpage.it ha contatto il ricercatore per saperne di più su questa scoperta e sul suo affascinante lavoro sui dinosauri, reso ancor più iconico per il grande pubblico grazie al carismatico personaggio di Alan Grant in Jurassic Park, interpretato dall'attore neozelandese Sam Neil. Ecco cosa ci ha raccontato il paleontologo.
La prima cosa che le chiediamo è come si scopre una nuova specie di dinosauro, anche alla luce del suo recente e importante lavoro con Cariocecus bocagei
A questa domanda ci sono vari modi per rispondere. La versione più classica è quella di partire, andare a scavare e sperare nella dea bendata che la cosa che troverai – se la troverai – deve essere qualcosa di sconosciuto alla scienza. Ma in questo momento c'è comunque una generale carenza di fondi per i musei e per gli studi di ricerca che permettono di andare in giro a scavare. Quindi si va sul campo in pochi momenti durante l'anno e ci sono poche possibilità di trovare qualcosa.
Quindi come si fa?
Le scoperte che si fanno adesso sulle nuove specie sono legate alle collezioni museali. Negli anni che si sono susseguiti ci sono stati vari gruppi di paleontologi, scavatori e ricercatori che hanno portato tonnellate di materiale nei vari musei e che sono rimaste lì nei cassetti, come diciamo noi. Adesso ci sono studenti e ricercatori che, semplicemente, aprono questi cassetti e ristudiano i materiali, che magari erano già stati studiati prima, oppure sono ancora imballati nelle maglie di gesso, quindi ancora da “scavare” e preparare. Molto spesso questi materiali sono attribuibili a nuove specie.
Una sorpresa nel cassetto, un po' come accaduto con Cariocecus bocagei
Era in collezione dal 2016 e me l'hanno mostrato nel 2019. Studiandolo è venuto fuori che si trattava di una nuova specie.
Ci racconti cos'è successo
Nel 2016 il ricercatore Pedro Marrecas, uno dei miei coautori e membro della mia associazione, la Società di Storia Naturale di Torres Vedras, era a fare prospezione in una formazione alla ricerca di fossili. A un certo punto si è accorto di un blocco di pietra dal quale spuntava fuori una fila di denti. E ovviamente i denti richiamano il cranio, che è tra le cose più ambite quando si va a scavare. Non solo dinosauri, ma un po' tutto. La cosa interessante è che vicino ai denti vi erano anche altre ossa, il che suggeriva che potesse essere qualcosa di molto interessante. Il materiale è stato recuperato e trasferito a Torres Vedras, dove resta.
Nel 2019, nel corso del mio dottorato presso la Queen's University di Belfast, in Irlanda del Nord, entro in contatto con l'associazione e mi invitano ad andare a vedere i materiali a loro disposizione. Quando ero lì il direttore Bruno Camilo, che è anche coautore dello studio, mi ha detto: “Guarda Filippo, abbiamo un cranio di un qualcosa che potrebbe essere di tuo interesse”. Vedo il cranio e capisco di cosa si tratta, più o meno. Mi dice da dove viene e soprattutto da quando viene, quindi l'epoca in cui è stato trovato. Così gli ho risposto: “Bruno, questo potrebbe essere effettivamente qualcosa di molto interessante”. L'idea era di studiarlo in maniera molto selettiva, categorica. Iniziamo con la CT scan, la TAC, poi procediamo con la preparazione, etc etc. Però arriva il 2020 con la pandemia di Covid e tutto si è praticamente arrestato.
Nel 2023, qui a Bruxelles, durante il post doc il mio supervisore Pascal Godefroit decide di andare in vacanza in Portogallo, così gli suggerisco di andare a incontrare Bruno perché ha qualcosa da fargli vedere. Dopo aver visto il materiale, si accorge anche lui che potrebbe essere qualcosa di molto grosso, così si decide di iniziare un lavoro multi-istituzionale. Il laboratorio della Società non aveva la capacità e il personale per preparare il materiale, quindi letteralmente di rimuovere la matrice e tutto il sedimento, per far sì che tutto quello che c'è dentro risalti fuori per bene. Noi a Bruxelles abbiamo un preparatore molto bravo, Stéphane Berton, quindi sotto accordi abbiamo portato il materiale qui in Belgio – in macchina grazie ad alcuni miei colleghi – e preparato. Da qui si è poi passati allo studio e alla pubblicazione.
Una grandissima soddisfazione, dato che ha anche potuto dare il nome al genere della nuova specie, per la prima volta
Sono cresciuto come appassionato di dinosauri dai tempi di Piero e Alberto Angela, dal '93. Da bambino probabilmente ho pronunciato prima la parola dinosauro e poi mamma (ride). Qualcuno potrebbe essere in disaccordo, questa è una cosa molto personale per me, ma ciò che ti identifica come paleontologo è quella di dare un nome a qualcosa. È una visione che ho io, non è scritta sulla pietra, ma che sento mia. Ho sempre avuto il sogno di dare un nome a un dinosauro, di sentirlo “un po' mio”, o meglio “nostro”, perché comunque dietro c'è un team incredibile che mi ha supportato con lo studio. Alla fine ci sono riuscito, sono riuscito a dare il nome a un dinosauro dopo tanti anni di tentativi.
Complimenti sinceri. Quando ha deciso di diventare paleontologo? Jurassic Park c'entra qualcosa?
Questo è un aspetto un po' divertente, perché in realtà io sono della generazione di Jurassic Park, Jurassic Park: Il mondo perduto. Guardai il primo poco dopo che uscì, nel 1993, quando avevo 4 o 5 anni, ma avevo già il pallino dei dinosauri grazie agli Angela. Jurassic Park però mi traumatizzò a tal punto che riuscii a rivederlo solo nel 2004, quindi più di dieci anni dopo. Io avevo una certa idea dei dinosauri, ma poi vedo il tirannosauro divorare le persone, arti mozzati. Ero solo un bambino.
Ha un dinosauro preferito? Al di là di quello appena scoperto e nominato, che sicuramente ricopre un ruolo speciale
I miei dinosauri preferiti sono quelli che studio. Quando pubblico un dinosauro quello diventa il mio preferito del momento. Ma se c'è un dinosauro a cui sono molto legato è sicuramente l'ouranosauro, il cosiddetto iguanodonte con la vela. Fra l'altro noi in Italia abbiamo il secondo scheletro originale, che è al Museo di Venezia. È quello che ho studiato per la mia tesi triennale all'Università di Bologna; è anche diventato il dinosauro della mia prima pubblicazione scientifica nel 2017. Inoltre è il dinosauro che mi ha portato a fare una spedizione di scavo incredibile nel 2022 con l'Università di Chicago in Niger, dove sono stato due mesi. Ma soprattutto, l'ouranosauro fu il primo vero dinosauro che io vidi da bambino. I miei sono di Vicenza, avevo 7-8 anni e mi portarono a Venezia per la classica vacanzina. Visitai il Museo di Venezia quando ancora aveva l'esposizione prima del restauro e vidi l'ouranosauro. Fu il primo scheletro vero di dinosauro che vidi da bambino, quello che poi sarebbe diventato il dinosauro che mi ha introdotto nella paleontologia accademica, nel mio lavoro. Quindi è un uroboro, un ritorno alle origini, è tutto collegato.

Una bella storia, davvero. Quali sono gli aspetti più faticosi e pesanti dell'essere paleontologi?
Ce ne sono vari, tra cui uno che sto vivendo ormai da due anni, ovvero l'assenza di lavoro. È dal 2023 che non ho più un contratto di ricerca. Il problema è la carenza di fondi, la continua perdita di soldi non solo per la paleontologia, ma per tutte le branche della scienza. Senza fare discorsi troppo politici, dico che certi soldi andrebbero spesi meglio. Non lo dico per i dinosauri, ma per la scienza in generale, qualsiasi branca che porta progresso, conoscenza e anche più rispetto per la natura. Uno dei grandi problemi della paleontologia è l'assenza di fondi cui si associa anche un certo disinteresse da parte dell'amministrazione e comunque del mercato. C'è anche un problema di classismo, dove in determinate realtà ci sono professori che tendono ad avere un controllo del proprio gruppo. Ci sono dei comportamenti che ultimamente sono stati giustamente denunciati, anche di bullismo. Si spera che con le nuove generazioni ci sia sempre più sensibilità sotto questo punto di vista e quindi ci sia un rispetto più ampio, una presa di coscienza maggiore, che di nuovo non riguarda solo la paleontologia, ma tutti gli ambiti.
Ha notato differenze tra l'Italia e l'estero?
È una situazione generale. C'è qualche Paese che ha meno problemi, altri che ne hanno di più, ma la paleontologia è un campo molto ristretto, nel quale vi è grande concorrenza. C'è la corsa ai fondi, a vincere le borse di studio. Questo porta a scontri interni, dissapori. È la solita manfrina, ma non colpisce solo la paleontologia.
In Cina la paleontologia sta avendo una grande accelerazione. Vediamo sempre più pubblicazioni di nuove scoperte. Che ne pensa?
La Cina ha la grandissima fortuna di avere in casa propria delle formazioni geologiche che sono letteralmente un eldorado, miniere a cielo aperto, senza nulla togliere a tante altre formazioni in giro per il mondo. I cinesi hanno capito che possono usare la paleontologia anche per un aspetto turistico e viene data molta importanza alle scoperte. Quindi vi è un interesse da parte del governo per finanziare ricerche, scavi, etc etc. Hanno dei musei che sono veramente fatti bene, delle formazioni geologiche con fossili che sono la fine del mondo, delle università che sono l'eccellenza e che richiamano tanti esperti dall'estero. Evidentemente hanno trovato la formula giusta.

I dinosauri piacciono praticamente a tutti, eppure ci sono anche i cosiddetti “no-dinosauri”, gente che crede che non siano mai esistiti e che si tratti di resti di giganti, draghi e altre assurdità. Cosa ne pensa?
Penso tante cose, ma soprattutto al fatto che è un po' paradossale che in questo momento storico in cui la tecnologia ci dà così tanta possibilità di conoscere tutto del mondo, la stessa tecnologia sta alimentando un sentimento antiscientifico. C'è chi dice che i dinosauri sono falsi perché prima del 1840 nessuno ne parlava, che sono i giganti e così via. Io dico loro di venire a scavare con me. Abbiamo sempre bisogno di forza lavoro, anche perché nessuno ci paga. Molto spesso siamo noi a pagare di tasca nostra. Magari l'istituzione ci copre la stanzetta e il pranzo, ma viaggio, assicurazione e il resto è tutto a carico nostro. Lo facciamo per l'amore della disciplina, della scoperta, e perché comunque vogliamo dare un contributo effettivo alla paleontologia. Ci serve sempre forza lavoro e si è sempre in cerca di volontari. Quindi ripeto, venite a scavare con me, stiamo insieme sotto al sole per sette – otto ore. Poi magari quando esce fuori la costola, la vertebra, o magari il cranio se siamo fortunati, discutiamo di cosa si tratta. Tireranno ancora fuori la storia delle ossa dei giganti, e a quel punto li inviterei a studiarle, a capirle con me. Deve esserci un rapporto più umano tra lo scienziato e il pubblico.
Molto spesso gli scienziati non riescono a trasformare le informazioni scientifiche in qualche cosa per il pubblico, anch'io tante volte non ci riesco. Quindi bisogna passare per il comunicatore scientifico, un po' come lei. Secondo me questa cosa deve essere migliorata, devono esserci degli incentivi da parte delle amministrazioni. Non parlo delle università perché le università già lo fanno, ma proprio a livello statale, governativo. Non solo in Italia, ma nel mondo, dovrebbe esserci un incentivo per gli scienziati e i comunicatori scientifici ad approcciarsi col pubblico. Ma deve pure esserci una presa di coscienza da parte del pubblico: “Ok, di questo non ne so tanto, quindi faccio un bagno di umiltà e vado a sentire”. È un gioco delle due parti, come si dice. Il rispetto deve venire da entrambe le parti.
Io sono su Twitch, YouTube, Instagram, faccio live. Sono pronto a rispondere alle domande di tutti. Possono venire a fare le domande e io posso mostrare loro foto, calchi, i materiali che ho stampato in 3D (ovviamente a casa non ho i fossili). Deve esserci anche la presa di posizione della persone, che pur pensando che i dinosauri siano falsi, devono ascoltare con la mentalità giusta chi li studia, approcciarsi con la consapevolezza di poter essere nel torto. Il pregiudizio può anche starci, ma anche se la parola può apparire un po' dura, serve un po' di umiltà. Anche da parte degli scienziati. Bisogna stare tutti più calmi.
Ma allora, fare il paleontologo è davvero il lavoro dei sogni?
Per essere il lavoro dei sogni devi essere la persona che lo sogna. È un po' come diventare astronauta, una cosa che in tanti sognano ma che in pochi raggiungono. Per me sì, è il lavoro dei sogni, ma spesso anche il lavoro degli incubi, ovvero quello in cui devo pregare non so quale divinità per avere la borsa di studio, per avere un fondo, per vincere quel progetto. Però allo stesso tempo, poi mi ritrovo, che so, a dormire in una tenda in mezzo al deserto del Sahara, a vedere la volta celeste e a scavare dinosauri che solamente i tuareg e pochi altri italiani hanno visto negli anni '70. E allora lì dico sì, “che figata”. Prendo l'aereo, vado in Canada, raggiungo un meeting dove incontro persone da tutto il mondo che condividono la mia passione, con le quali mi trovo a spiegare del perché ho fatto, studiato e ipotizzato una certa cosa. Mi invitano ad andare a trovarli nel loro laboratorio, si creano collaborazioni, si creano partnership, si crea un network. Poi arrivi a casa, pubblichi il tuo articolo, magari qualcuno decide di fare il giocattolo del tuo dinosauro, esci di casa e vedi un bambino o una bambina che escono da un negozio di giocattoli con in mano il dinosauro che tu hai nominato. Quindi sì, è il lavoro dei sogni per chi ha sognato questa cosa da sempre.

Come ultima cosa le chiedo, c'è un posto dove ancora non è andato a scavare dinosauri e desidera farlo?
Io ne ho sempre avuti tre in testa. Uno l'ho già fatto, ovvero il Niger, perché comunque l'ouranosauro proviene da là e poi c'è stata la famosa spedizione di Giancarlo Ligabue di Venezia nel 71-73. Quindi c'era proprio la voglia per me di andare in quegli stessi posti. E questo l'ho fatto. Ne mancano due: il deserto del Gobi in Mongolia, che è un po' la Mecca per il paleontologi, e poi al primo posto c'è l'Antartide. Vorrei tanto, tanto andare a scavare in Antartide, soprattutto nelle isole di fronte al continente antartico. Ci sono alcune formazioni con materiali che mi interessano moltissimo.