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Sotto la caldera dei Campi Flegrei c’è uno strato di crosta più debole che intrappola i fluidi magmatici

Questo strato indebolito si trova a una profondità compresa tra i 3 e 4 km sotto la caldera dei Campi Flegrei: causato dalle passate intrusioni di magma, potrebbe spiegare bradisismo e attività sismica. Lo studio dell’INGV.
A cura di Valeria Aiello
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La caldera dei Campi Flegrei. Credit: INGV
La caldera dei Campi Flegrei. Credit: INGV

Sotto la caldera dei Campi Flegrei c’è un debole strato di crosta che può agire come una trappola per i fluidi magmatici, aiutando a spiegare fenomeni come il bradisismo e l’attività sismica: è quanto indicato da un nuovo studio dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) pubblicato sulla rivista scientifica AGU Advances, che ha chiarito la struttura e la dinamica della porzione superiore del sistema vulcanico.

Secondo i ricercatori, questo strato indebolito si trova a una profondità compresa tra i 3 e 4 km, al di sotto di uno strato più resistente, compreso tra i 2 e 2,7 km di profondità, che corrisponde invece alla zona dove si concentra la maggior parte dei terremoti di magnitudo superiore a 3. “Una transizione significativa si osserva a una profondità di 2,5-2,7 km – hanno precisato gli autori dello studio – . In questa zona si verifica un inaspettato deterioramento meccanico degli strati crostali, che a profondità intorno ai 3-4 km diventano più porosi e permeabili, e meno resistenti, del previsto. Questo strato indebolito è cruciale, in quanto favorisce l’accumulo di fluidi magmatici che, intrappolati, aumentano progressivamente in volume e pressione, innescando deformazioni del suolo e attività sismica”.

Debole strato di crosta intrappola i fluidi magmatici sotto i Campi Flegrei

Un debole strato di crosta terrestre, che si trova a una profondità compresa tra 3 e 4 chilometri sotto la caldera dei Campi Flegrei, può comportarsi come una trappola per i fluidi magmatici, consentendo loro di accumularsi e potenzialmente di raggiungere condizioni di sovrapressione, con conseguenti deformazioni del suolo e attività sismica.

Questo strato è stato identificato analizzando rocce di carotaggio ottenute da un pozzo geotermico situato vicino al centro della caldera, un foro di trivellazione esplorativo che raggiunge profondità di circa 3 km, risalente agli Anni 80 e situato nella zona di San Vito.

La struttura della crosta terrestre sotto la caldera dei Campi Flegrei / Credit: INGV
La struttura della crosta terrestre sotto la caldera dei Campi Flegrei / Credit: INGV

Per esplorare come questo strato più debole possa essersi formato, abbiamo eseguito simulazioni semplificate della risalita del magma al di sotto della caldera – hanno precisato i ricercatori – . Abbiamo concluso che questo strato è stato probabilmente indebolito dai danni e dal calore causati da passate intrusioni magmatiche al di sotto dei 2,5 km”.

Le caratteristiche di questi campioni, analizzate utilizzando un microscopio a luce polarizzata e una microsonda elettronica e ulteriormente indagate con un microscopio a raggi X 3D, hanno evidenziato che in questa area la crosta è suddivisa in tre domini principali, caratterizzati da diversa porosità, resistenza e rigidità. Lo strato inferiore, in particolare, è risultato nettamente meno resistente e meno denso dei due domini superiori, mostrando un significativo aumento della porosità.

Questa struttura fungerebbe non solo da barriera in grado di deformarsi in risposta all’accumulo di fluidi magmatici ma, secondo gli studiosi, potrebbe anche “condizionare un’eventuale risalita di magma” dal serbatoio, che si trova a circa 7-8 km di profondità. In altre parole, in caso di risalita di piccoli volumi di magma, questi tenderebbero a deviare il proprio percorso e arrestarsi in prossimità del contatto tra lo strato superiore più resistente.

In caso invece di accumuli più rapidi o maggiori, il magma “potrebbe non avere il tempo di raffreddarsi e, dopo una fase di stasi a 3-4 km di profondità, riprendere la sua risalita, come osservato nell’ultima eruzione dei Campi Flegrei del 1538, che portò alla formazione del Monte Nuovo”. Lo studio però non esclude che, in caso di risalita di volumi maggiori, il magma possa raggiungere direttamente la superficie, senza attraversare una fase di stasi nello strato crostale indebolito — un meccanismo che potrebbe aver caratterizzato alcune eruzioni di epoche passate.

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