Siamo riusciti a restringere il buco dell’ozono, perché non riusciamo a rallentare la crisi climatica

Il 16 settembre 1987 è una data storica, che sarà ricordata per sempre come una vittoria della scienza e fulgido esempio di collaborazione internazionale. In quel giorno, infatti, fu sottoscritto il famoso Protocollo di Montreal, un trattato praticamente globale che aveva il virtuoso obiettivo di ridurre sensibilmente la produzione dei clorofluorocarburi (CFC) e sostanze analoghe. In parole semplici, si tratta di composti chimici volatili (gas) con un devastante impatto ambientale derivati da etano, metano e propano che venivano impiegati in numerose tipologie di prodotti, come refrigeranti, propellenti, solventi e sistemi antincendio.
La necessità di un protocollo internazionale, che ha portato al completo divieto dei CFC nell'Unione Europea dal 1° gennaio 2015 (dopo anni di drastiche limitazioni), era legata alle proprietà di questi gas. Essi sono infatti in grado di reagire con le molecole dello strato di ozono e scomporle, dando vita a quello che è passato alla storia come “buco dell'ozono”. Lo strato di ozono è una fascia nella stratosfera sita tra i 15 e i 35 chilometri di altezza che gioca un ruolo fondamentale nel sostenere e proteggere la vita sulla Terra. È infatti come un gigantesco scudo, in grado di filtrare larga parte della radiazione ultravioletta (raggi UV) del Sole che altrimenti sarebbe letale per gli esseri viventi. Per capire quanto è prezioso l'ozono, basti sapere che un recente studio ha determinato che due grandi estinzioni di massa (quella dell'Ordoviciano di 445 milioni di anni fa e quella del tardo Devoniano di 372 milioni di anni fa) sarebbero state innescate da due supernovae (esplosioni stellari) nella Via Lattea, che a loro volta avrebbero distrutto lo strato di ozono attorno al pianeta facendo filtrare le letali radiazioni.
Che i clorofluorocarburi (CFC) potessero rappresentare un problema per lo strato di ozono gli scienziati lo sottolinearono per la prima volta circa 50 anni fa; suggerirono che questi gas – di esclusiva origine antropica – fossero infatti capaci di arrivare sin nella stratosfera e, attraverso il rilascio di cloro, di scomporre e distruggere il prezioso strato protettivo. Da allora ci sono voluti altri 10 anni prima che il problema del “buco nell'ozono” diventasse una urgente questione di sicurezza e salute pubblica. Alcuni ricercatori dimostrarono che il "buco" sopra l'Antartide continuava a espandersi primavera dopo primavera, mentre in altre zone continuava ad assottigliarsi. E la colpa era proprio dell'immissione costante e massiccia dei CFC e sostanze affini.
Alla luce della catastrofe in cui ci stavamo infilando con le nostre stesse mani, i governi dei Paesi decisero di sottoscrivere il sopracitato protocollo volto a ridurre drasticamente e infine, con ulteriori aggiornamenti, vietare i composti responsabili del famigerato buco dell'ozono. E siamo stati molto bravi, come dimostra un recentissimo studio coordinato da scienziati del prestigioso Massachusetts Institute of Technology pubblicato su Nature. A quasi 40 anni dalla firma di quel protocollo, infatti, il team guidato dal professor Peidong Wang ha evidenziato che le tendenze stagionali mostrano un progressivo e costante restringimento (o meglio ispessimento) del buco dell'ozono, con potenziale chiusura stagionale sopra l'Antartide già a partire dal 2035.
Quello del protocollo di Montreal è un risultato straordinario che sta allontanando sempre di più una delle peggiori minacce in grado di mettere a repentaglio la vita sulla Terra. Allora perché non riusciamo a fare la stessa cosa con le emissioni di CO2 (anidride carbonica) e altri gas climalteranti alla base del riscaldamento globale, che continuano ad aumentare inesorabilmente anno dopo anno? Basti sapere che, nonostante i proclami di tagli alle emissioni e “svolte green” dei governi, a gennaio 2025 la concentrazione di anidride carbonica è salita a 426,03 ppm (parti per milione) contro le 422,25 ppm di gennaio dell'anno precedente.
La situazione continua a peggiorare costantemente e ci troviamo in un contesto analogo a quello creato con il buco dell'ozono. Secondo gli scienziati la crisi climatica rappresenta la principale minaccia esistenziale per l'umanità, a causa dei molteplici impatti che sta già avendo e che avrà ancora di più in futuro con un riscaldamento oltre 1,5 °C rispetto al periodo preindustriale. Innalzamento del livello del mare in grado di sommergere intere città (italiane costiere comprese), regioni e isole; siccità estrema; incendi catastrofici; carestie per crollo di raccolti; perdita di biodiversità (è in corso la sesta estinzione di massa); ondate di calore mortali sempre più frequenti; diffusione di vettori e malattie tropicali; e migrazioni di massa per risorse e territorio in grado di sfociare in guerre globali sono solo alcuni dei rischi concreti rappresentati dalla crisi climatica. Non a caso secondo alcuni ricercatori possiamo aspettarci la fine della civiltà come la conosciamo già attorno al 2050.
Allora perché innanzi a una simile catastrofe non riusciamo a reagire come per gli effetti del buco dell'ozono, la cui imminente chiusura è uno straordinario risultato di collaborazione internazionale? Le ragioni sono diverse e fondamentalmente legate al fatto che, a differenza dei CFC, "facilmente" sostituibili da altri prodotti sicuri, i combustibili fossili rappresentano un pilastro dell'economia globale. Nonostante le fonti rinnovabili siano sempre più diffuse e sfruttate, gas naturale, petrolio e carbone restano un vero e proprio volano della produttività; sostituire intere infrastrutture che si basano su di essi richiede investimenti immensi e tempo che alcune società non vogliono impiegare. Perlomeno non ai ritmi necessari per scongiurare gli effetti più disastrosi e irreversibili della crisi climatica.
Gli effetti di eventuali tagli netti alla CO2, inoltre, non sarebbero immediati e dunque “spendibili” dai decisori politici per promuovere leggi ad hoc e nuove campagne elettorali, rendendo ancor più complicata una situazione in cui gli interessi economici di grandi aziende e ricchissimi verrebbero messi a repentaglio. Alcuni passi in avanti sono comunque stati fatti, ma la situazione geopolitica internazionale e l'elezione di alcuni leader mondiali che portano avanti politiche apertamente antiambientaliste sembrano allontanare sempre più un nuovo Protocollo di Montreal a tema climatico. E il baratro previsto dagli scienziati non fa che avvicinarsi.