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Scoperto un nuovo meccanismo della depressione: così i neuroni che regolano l’umore diventano meno attivi

Uno studio italiano ha scoperto un nuovo potenziale meccanismo chiave nella depressione: la riduzione dell’attività di alcuni neuroni nella corteccia prefroantale mediale.
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A lungo si è ipotizzato che la depressione maggiore fosse causata da un deficit serotoninergico, ovvero una carenza di questo neurotrasmettitore noto per svolgere un ruolo fondamentale nel regolare diverse funzioni del nostro corpo, come il sonno, l'appetito, le emozioni e l'umore. Tuttavia negli ultimi anni questa ipotesi è stata messa in dubbio da diversi ricercatori anche in studi molto estesi come unica causa della depressione.

Ora un nuovo studio condotto da un gruppo di ricercatori del Neuroscience Institute Cavalieri Ottolenghi (NICO) dell'Università di Torino ha evidenziato come in questa condizione possano svolgere un ruolo fondamentale i deficit nell'attività dei neuroni che si trovano nella corteccia prefrontale mediale, un'area del cervello che svolge un ruolo fondamentale nella risposta allo stress e nel regolare l'umore.

Da dove sono partiti i ricercatori

La depressione – si legge nello studio pubblicato sulla rivista  Scientific Reports – rappresenta ancora oggi un importante problema di salute pubblica: sebbene infatti colpisca milioni di persone al mondo – secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) circa il 5% della popolazione adulta – spesso i trattamenti disponibili si rivelano solo parzialmente efficaci o inefficaci. Questi limiti sono in parte dovuti al fatto che ancora non sono stati compresi del tutto i meccanismi biologici responsabili della depressione.

Ecco perché rispetto all'ipotesi del deficit serotoninergico – già messo in dubbio da precedenti studi – i ricercatori di Torino hanno provato a spostare l'attenzione su un altro aspetto, ancora oggi non completamente compreso, ovvero i meccanismi che regolano l'attività neuronale nella corteccia prefrontale mediale in condizioni di stress o depressione. I ricercatori si sono soffermati su questa regione cerebrale perché è in questa area che nei pazienti con depressione è stata osservata una ridotta attività neuronale.

Lo studio sui topi

Per farlo i ricercatori hanno condotto uno studio sperimentale in un modello animale, ovvero su topi di laboratorio. Dopo aver indotto negli animali uno stato di stress cronico, i ricercatori hanno studiato come cambiava l'attività dei neuroni in questa regione del cervello. Nelle cavie che hanno sviluppato un comportamento depressivo i ricercatori hanno osservato che alcuni neuroni (i neuroni piramidali dello strato 2/3) della corteccia prefrontale diventano "meno eccitabili e mostrano un maggiore adattamento alla frequenza di scarica".

In sostanza questo significa che i neuroni individuati, se esposti a uno stress cronico fino a innescare comportamenti depressivi, subiscono una riduzione nella loro capacità di rispondere agli stimoli eccitatori esterni, in poche parole diventano meno reattivi. Secondo i ricercatori questa è una scoperta significativa perché potrebbe "rappresentare una base cellulare della ridotta attività della corteccia prefrontale osservata nei pazienti con depressione", ha spiegato la dottoressa Anita Maria Rominto, dottoranda al NICO e prima autrice della ricerca.

Lo strato mPFC 2/3, ovvero quello in cui è stata osservata questa minore attività dei neuroni, è inoltre collegato ad altre regioni cerebrali che regolano le emozioni e la risposta allo stress. Ed è anche a fronte di questo che secondo i ricercatori "i risultati – si legge nello studio – suggeriscono che la sua disfunzione neuronale può essere un importante meccanismo di alterazione dell'umore e comportamento depresso".

Un nuovo possibile bersaglio farmaceutico

Dato che l'attività neuronale funziona grazie a stimoli elettrici, dopo aver osservato questa minore reattività della corteccia prefronatale mediale i ricercatori hanno studiato anche l'attività elettrica nel cervello dei topi. L’analisi elettrofisiologica ha evidenziato come a neuroni meno reattivi si associasse anche una maggiore attività dei canali di potassio k+, ovvero quelle "proteine di membrana – spiega la Società Italiana di Farmacologia – con un foro centrale che permettono il passaggio di ioni potassio (K+) tra l’interno e l’esterno della cellula" con effetti a sua volta sull'attività della corteccia prefronatale mediale.

Secondo gli autori dello studio, questi risultati forniscono una possibile spiegazione del perché la stimolazione cerebrale non invasiva sia spesso efficace nel trattamento della depressione. Inoltre, suggeriscono che i canali del potassio K+ potrebbero diventare un nuovo bersaglio farmacologico. Ovvero la ricerca potrebbe lavorare a nuovi farmaci antidepressivi che agiscano proprio per regolare l'attività di questi fondamentali canali e quindi della stessa corteccia prefrontale mediale.

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