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Quali dinosauri camminavano nel sito dello Stelvio e perché è così importante: la spiegazione del paleontologo

In questi giorni è stata annunciata la scoperta della “valle dei dinosauri”, uno spettacolare sito paleontologico nel cuore del Parco Nazionale dello Stelvio con migliaia di impronte fossili. Il paleontologo Filippo Bertozzo racconta a Fanpage.it quali animali passeggiavano qui 210 milioni di anni fa e perché è una scoperta molto importante.
A cura di Andrea Centini
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Una parete della "valle dei dinosauri". Credit: Elio Della Ferrera, Arch. PaleoStelvio (PNS, MSNM, SABAP CO–LC).
Una parete della "valle dei dinosauri". Credit: Elio Della Ferrera, Arch. PaleoStelvio (PNS, MSNM, SABAP CO–LC).

Nel Parco Nazionale dello Stelvio è stata scoperta quella che è stata soprannominata la “valle dei dinosauri”, pareti verticali di dolomia in un luogo remoto della Valle di Fraele con migliaia di impronte fossili. Le hanno lasciate 210 milioni di anni fa – nel Triassico superiore – dei cosiddetti “prosauropodi”, dinosauri erbivori dal collo lungo precursori dei sauropodi meglio conosciuti dal grande pubblico, come brachiosauro, brontosauro e diplodoco. A scoprire la parete colma di orme, alcune delle quali di 40 centimetri di diametro, è stato il fotografo naturalista Elio Della Ferrara, mentre era impegnato a scattare immagini di cervi e gipeti. Resosi conto della peculiarità delle pareti ha contattato il paleontologo del Museo di Storia Naturale di Milano Cristiano Dal Sasso, che ha immediatamente avviato la macchina della ricerca.

Al momento è stato pubblicato un annuncio della scoperta, ma in futuro usciranno studi scientifici dettagliati che approfondiranno l'importanza di questo straordinario ritrovamento. Del resto è anche il primo sito di impronte fossili in Lombardia e uno dei più grandi al mondo. Per comprendere meglio la portata di questa scoperta, Fanpage.it ha contattato il paleontologo Filippo Bertozzo, che collabora presso il Royal Belgian Institute of Natural Sciences di Bruxelles (Belgio). Recentemente lo studioso italiano ha descritto una nuova specie di dinosauro adrosauride (Cariocecus bocagei) e ha fatto una scoperta importante sulla riproduzione dei dinosauri "dal becco d'anatra".

Le impronte della "valle dei dinosauri". Credit: Foto di Elio Della Ferrera, Arch. PaleoStelvio (PNS, MSNM, SABAP CO–LC).
Le impronte della "valle dei dinosauri". Credit: Foto di Elio Della Ferrera, Arch. PaleoStelvio (PNS, MSNM, SABAP CO–LC).

Dottor Bertozzo, si dice che la scoperta nel cuore delle Alpi sia la più importante sui dinosauri in Italia dopo quella di Ciro, il famoso teropode di Benevento. Lei che ne pensa?

Di sicuro è una delle più importanti, ma io resto un po' con i piedi per terra. Penso sia incredibile come scoperta, però desidero vedere la produzione scientifica, capire che informazioni emergono, che fotografia del Triassico ci porta. La base per avere qualcosa di eccezionale c'è, però voglio dare tempo a chi se ne occupa di fare la ricerca. Diciamo che metto nel congelatore il mio pensiero finale.

Si parla di migliaia di impronte. Pochi giorni fa è stata annunciata la scoperta in Bolivia del sito più grande di orme di dinosauri mai scoperto, ben 16.600. Sono scoperte paragonabili oppure ritiene che quella in Italia possa avere un significato maggiore? 

Non mi sono documentato a fondo sul sito della Bolivia, ma secondo me la scoperta italiana è su uno scalino più alto. Questo perché le tracce boliviane vengono dal Cretaceo, che sono sempre importanti, ma dal Cretaceo abbiamo un buon record di impronte. Quelle scoperte in Italia risalgono al Triassico superiore, quindi siamo relativamente vicino agli inizi dell'origine dei dinosauri. Con esse, ad esempio, si può capire il comportamento e la diversità dei primi dinosauri. Secondo me è molto più importante perché è una prova fossile di un'epoca di cui abbiamo relativamente poche informazioni.

Ricostruzione della "valle dei dinosauri" nel Triassico. Credit: Illustrazione di Fabio Manucci,Arch. PaleoStelvio (PNS, MSNM, SABAP CO–LC)
Ricostruzione della "valle dei dinosauri" nel Triassico. Credit: Illustrazione di Fabio Manucci,
Arch. PaleoStelvio (PNS, MSNM, SABAP CO–LC)

A lasciare queste impronte sono stati dei “prosauropodi”, dei precursori dei sauropodi che si sono diffusi successivamente. Si dice avessero dimensioni comprese tra i 2 e i 10 metri. Potrebbe essere una specie che già conosciamo o qualcosa di completamente nuovo? Che idea si è fatto?

Dalle impronte è sempre difficile arrivare a dire “ok, è questa specie di dinosauro”, a meno che non ci sia qualcosa di incredibilmente particolare, oppure che non capiti quell'unico evento su tre miliardi in cui trovi l'animale morto insieme alle impronte. È veramente difficile poter dire “questa appartiene a Plateosaurus trossingensis”, piuttosto che a qualche altro “prosauropode”. Diciamo che vicino alla zona geologica italiana, quindi Svizzera, abbiamo dei “prosauropodi”, in realtà un termine vecchio che è stato sostituito con sauropodomorfi basali. In Svizzera c'è una piccola cittadina chiamata Frick dove si è scoperto una quantità incredibile di questi animali simili ai plateosauri, anch'essi morti a quanto sembra in gruppo. È molto probabile che siano state lasciate non dico proprio dagli stessi animali, ma comunque da “prosauropodi” italiani evolutivamente vicini.

Perché questa cosiddetta “valle dei dinosauri” è stata trovata proprio nel Parco dello Stelvio? Quali caratteristiche geologiche hanno permesso la conservazione una serie di impronte così grande?

Dalle osservazioni preliminari che hanno fatto, comprese quelle del mio collega Cristiano Dal Sasso che è paleontologo del Museo di Milano e lo studioso che adesso sta divulgando questa scoperta, sembra che questa fosse una piana tidale, una piana di marea. Ovviamente i dinosauri non camminavano in verticale. All'epoca, si parla di 210 milioni di anni fa, qui dove ora sono le Alpi c'era il letto di una piana di marea dove questi questi branchi di dinosauri camminavano. Le impronte restavano impresse sul terreno e per tutta una serie di questioni geologiche si sono mantenute, si sono pietrificate. Con l'innalzamento delle Alpi la piana orizzontale, che era la spiaggia dell'epoca, è arrivata praticamente in verticale. In questo momento non le posso dire esattamente perché quel substrato è riuscito a mantenere le impronte, dobbiamo aspettare lo studio.

Alcune delle impronte meglio conservate. Credit: Elio Della Ferrera, Arch. PaleoStelvio (PNS, MSNM, SABAP CO–LC).
Alcune delle impronte meglio conservate. Credit: Elio Della Ferrera, Arch. PaleoStelvio (PNS, MSNM, SABAP CO–LC).

Il sito sarà anche un po' complesso da studiare per via del fatto che si trova in un luogo remoto, privo di sentieri, scoperto per caso da un fotografo naturalista mentre scattava foto a cervi e gipeti.

Di base sarebbe così, però negli ultimi anni lo studio delle impronte fossili – una scienza chiamata paleoicnologia – ha avuto una un'evoluzione tecnologica grazie all'utilizzo dei droni. I droni sono diventati i nuovi migliori amici per i paleontologi specializzati nelle impronte, perché permettono di fare dei modelli 3D tramite le fotografie e i video. Permettono di accedere, come in questo caso, a pareti che sarebbero molto difficili da raggiungere dagli studiosi.

Lì avresti bisogno di cavi, sicurezza, alpinisti molto specializzati, che non sono sempre facili da trovare, soprattutto specializzati in paleontologia. Tra milioni di virgolette, semplicemente si portano due o tre persone con i droni in una zona dove è possibile ricevere il segnale e si scattano una serie di fotografie e video di tutta la parete, da tutte le angolazioni possibili. Poi queste impronte possono essere studiate con la comodità di un computer in ufficio, così come possono anche essere stampate in 3D e quindi analizzate in maniera, diciamo, più solida. Non sull'esemplare stesso, l'impronta vera e propria, ma su una replica stampata in 3D.

Quanto tempo pensi ci possa volere prima di avere uno studio scientifico approfondito su queste impronte al Parco Nazionale dello Stelvio?

Ovviamente il prima possibile sarebbe sarebbe meglio, però è anche vero che bisogna farlo con criterio e fare studi con criterio richiede del tempo. Basandomi sulle mie esperienze passate, potrei dire 2-3 anni per vedere il primo articolo. Ma dipende anche da quanti articoli vogliono pubblicare, quante informazioni vogliono mettere sul primo. Il primo articolo potrebbe essere semplicemente un annuncio scientifico. Ad esempio, dato che prima si parlava di Ciro, se ben ricordo il primo articolo dedicato a questo dinosauro era più un annuncio. Era sempre uno studio scientifico, però che non andava così tanto nel dettaglio. La monografia di Scipionyx è arrivata molti anni più tardi. Bisogna capire qual è il piano di pubblicazione che la Regione Lombardia e il Museo di Milano hanno deciso. Potremmo aspettare 2-3 anni per avere un grande studio di tutte le impronte, come aspettare un anno per avere un uno studio preliminare e poi altri due anni per averne un altro un po' più concreto. Entrambe le opzioni sono fattibili.

Particolare dell’impronta di un piede. Credit: Elio Della Ferrera, Arch. PaleoStelvio (PNS, MSNM, SABAP CO–LC).
Particolare dell’impronta di un piede. Credit: Elio Della Ferrera, Arch. PaleoStelvio (PNS, MSNM, SABAP CO–LC).

L'ultima cosa che le chiedo è perché in Italia è così complicato trovare fossili di dinosauro

È una domanda difficile perché richiede varie risposte. In Italia il record fossile delle impronte è molto ampio. Abbiamo tantissime impronte ad Altamura, ai Lavini di Marco a Rovereto, adesso queste dello Stelvio. Ne abbiamo tante altre in giro per l'Italia, ad esempio in varie zone della Puglia, non solo ad Altamura. Non è una regola fissa, però di base un ambiente geologico capace di preservare delle impronte, spesso non è capace di preservare delle ossa. E viceversa. Non è una cosa impressa nella roccia perché, molto raramente, si trova la camminata e poi l'animale morto. Ma è appunto rarissimo. Poi in realtà di ossa di dinosauro in Italia ne abbiamo un bel po'. Il problema sono le caratteristiche geologiche e degli strati: bisogna trovare lo strato sedimentario di un data zona, di quel tempo, di quell'epoca, che non sia marino ma continentale etc etc.

Ci spieghi

Ovviamente i dinosauri stavano sulla terra. Di rettili marini ne abbiamo tanti in Italia, così come abbiamo rettili volanti. Di dinosauri ne abbiamo un po' meno perché una volta c'era l'idea che l'Italia fosse tutta sott'acqua per tutto il tempo dei dinosauri. Adesso sappiamo che nel corso dei 160 milioni di anni in cui sono vissuti i dinosauri c'erano varie isole, zone che affioravano e sprofondavano. Quindi diciamo che i dinosauri hanno avuto degli spot, delle finestre per apparire nel corso del loro tempo. Bisogna avere la fortuna che siano morti in quello spot, corrispondente poi a una sezione stratigrafica sedimentaria capace di essere trovata dai paleontologi e preservata. Anche perché l'Italia a livello geografico è una terra molto limitata. Non si parla delle delle grandi pianure americane, delle vallate, delle badlands e via dicendo. L'Italia è molto piccola geograficamente, quindi i punti dove trovare degli strati sono molto limitati. È anche vero che in Italia in quegli strati limitati abbiamo delle cose incredibili, ad esempio i becchi d'anatra di Trieste sono uno più bello dell'altro. Abbiamo Pietraroja da dove arriva Ciro che ha una qualità di conservazione incredibile. Abbiamo Saltriovenator nella zona lombarda, un esemplare importantissimo e via dicendo.

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