87 CONDIVISIONI
video suggerito
video suggerito

Primo trattamento per riparare la barriera che protegge il cervello efficace in test di laboratorio

Un team di ricerca statunitense ha dimostrato l’efficacia di una molecola nel “riparare” la barriera emato-encefalica in test di laboratorio su modelli murini. È il primo trattamento efficace nel ripristinare la funzione della rete di cellule che protegge il cervello. Speranze per i test sull’uomo.
A cura di Andrea Centini
87 CONDIVISIONI

Immagine

Per la prima volta gli scienziati sono riusciti a “riparare” la barriera emato-encefalica nei topi, un primo passo che potrebbe portare a farmaci e trattamenti innovativi in grado di curare questa fitta rete di cellule che ha il delicatissimo compito di proteggere il cervello. La barriera emato-encefalica (o BEE) è infatti una sorta di sofisticatissimo filtro biologico, che permette il passaggio selettivo delle sostanze attraverso i vasi sanguigni che collegano il cervello al resto del corpo. Essendo l'encefalo così prezioso, infatti, è necessaria una vera e propria barriera per impedire a determinati composti e ai patogeni di raggiungerlo.

La BEE, caratterizzata da cellule endoteliali non fenestrate, consente il transito di molecole come il glucosio, l'acqua, gli amminoacidi e altri composti fondamentali per il metabolismo del tessuto nervoso, ma blocca tutto ciò che può arrecare un danno cerebrale, come un'infezione. Dunque stop a virus, batteri, parassiti, tossine, cellule malate etc etc. Può tuttavia capitare che la barriera emato-encefalica si danneggi, spalancando così le porte a patologie potenzialmente letali. Una BEE che perde, del resto, espone il cervello al rischio di cancro, ictus, infiammazione, encefalite e altre condizioni. Fra esse figura anche la sclerosi multipla, che può innescarsi a causa dell'eccessivo passaggio di globuli bianchi verso il cervello attraverso la BEE (ciò innesca una reazione autoimmune verso il tessuto cerebrale).

Alla luce dell'importanza di questa barriera, i ricercatori da molti anni sono a lavoro per identificare trattamenti ad hoc in grado di ripristinarla. Un primo, significativo passo avanti in questa direzione è stato compito da un team di ricerca statunitense guidato da scienziati della Divisione di Ematologia della Scuola di Medicina dell'Università di Stanford, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi del Dipartimento di Genetica, della società Surrozen, Inc. e del Dipartimento di Biologia dei Sistemi dell'Università Columbia. I ricercatori, coordinati dal professor Calvin J. Kuo, docente presso il Dipartimento di Medicina dell'ateneo, sono riusciti a riparare la BEE – o meglio, a ripristinarne la funzione – in modelli murini (topi) dopo aver condotto specifici esperimenti.

Innanzitutto il professor Kuo e colleghi si sono concentrati su un percorso di segnalazione cellulare chiamato WNT, legato alla rigenerazione dei tessuti, alla guarigione delle ferite e al corretto funzionamento della BEE (mette in comunicazione le cellule dei vasi sanguigni del cervello, come spiegato in un comunicato stampa dell'Università di Stanford). Questo percorso WNT viene attivato da un recettore proteico chiamato frizzled, le cui mutazioni, spiegano gli esperti, “causano anomalie della barriera emato-encefalica”. Nella ricerca sono state progettate diverse molecole terapeutiche per il percorso WNT, come quella chiamata FZD 4, sviluppata dal professore di fisiologia molecolare Chris Garcia. Il team guidato da Kuo ha creato una nuova molecola (L6-F4-2) con un potere di attivazione di WNT cento volte superiore a FZD 4. Per verificarne l'efficacia l'hanno testata su topi con la malattia di Norrie, che provoca una barriera emato-retinica “che perde” (la funzione è la stessa della barriera per il cervello, ma per l'occhio). Ebbene, i topi trattati con L6-F4-2 hanno mostrato una barriera emato-retinica più densa e minori perdite nella stessa rispetto a quelli del gruppo di controllo, non trattati.

Nel secondo test hanno sperimentato la molecola in topi con ictus ischemico, una condizione che comporta un danno della BEE con conseguente passaggio di particelle infiammatorie e altri composti che possono danneggiare cervello. Nei topi trattati non solo è stata ridotta la gravità dell'ictus, ma è stata invertita la perdita di vasi sanguigni innescata dalla condizione ed è aumentata la sopravvivenza. "Nei topi C57Bl/6J adulti, la consegna sistemica post-ictus di L6-F4-2 riduce fortemente la permeabilità BBB, l'infarto e l'edema, migliorando al contempo il punteggio neurologico e la copertura capillare del pericito", hanno spiegato gli scienziati nell'abstract dello studio. Ovviamente si è trattato di test sui topi ed è ancora troppo presto per dire se questa procedura potrà essere efficace nell'uomo, ma sono state gettate le basi per terapie potenzialmente rivoluzionarie.

“Una barriera emato-encefalica che perde è un percorso comune per molte malattie del cervello, quindi essere in grado di sigillare la barriera è stato un obiettivo a lungo ricercato in medicina”, ha dichiarato il professor Kuo. “Speriamo che questo sia un primo passo verso lo sviluppo di una nuova generazione di farmaci in grado di riparare la barriera emato-encefalica, utilizzando una strategia e un bersaglio molecolare molto diversi rispetto ai farmaci attuali”, ha concluso lo scienziato. I dettagli della ricerca “Therapeutic blood-brain barrier modulation and stroke treatment by a bioengineered FZD4-selective WNT surrogate in mice” sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista scientifica Nature Communications.

87 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views