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Covid 19

Prima la febbre o la tosse? L’ordine dei sintomi Covid cambia in base alla variante

Attraverso un modello matematico un team di ricerca americano ha determinato che l’ordine dei sintomi della COVID-19 è influenzato dalla variante che infetta.
A cura di Andrea Centini
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La COVID-19 è un'infezione provocata da un patogeno respiratorio (il coronavirus SARS-CoV-2), pertanto diversi sintomi di base sono sovrapponibili con quelli dell'influenza e altre malattie affini, come febbre, tosse, mal di testa, dispnea, problemi gastrointestinali e altri ancora. Dall'inizio della pandemia gli scienziati si sono accorti che l'ordine di comparsa di questi sintomi è cambiato nel tempo, con dati a volte contrastanti. Lo studio “Modeling the Onset of Symptoms of COVID-19” pubblicato su Frontiers in Public Health, ad esempio, ha rilevato che la COVID-19 tende a iniziare con la febbre per poi progredire con la tosse e i dolori muscolari, seguiti da problemi gastrointestinali come nausea, vomito e diarrea. Secondo una ricerca del King’s College di Londra, tuttavia, è stato determinato che la perdita dell'olfatto (anosmia), il dolore al torace e all'addome, la dispnea (difficoltà respiratorie) e il dolore oculare risultano essere i sintomi principali nei primi giorni della forma sintomatica dell'infezione. La tosse persistente risultava più diffusa nei soggetti tra i 40 e i 59 anni, mentre i brividi comparivano più spesso negli anziani. Le variabili in gioco sono dunque molteplici, ma secondo un nuovo studio tra i fattori più impattanti vi sono le mutazioni del coronavirus SARS-CoV-2.

A determinarlo è stato un team di ricerca americano guidato da scienziati del Dipartimento di Scienze Biologiche e del Michelson Center for Convergent Bioscience dell'Università della California Meridionale di Los Angeles, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi del Dipartimento di Informatica dell'Università Tuft e della società Materia Therapeutics di Las Vegas. I ricercatori, coordinati dal professor Peter Kuhn, docente presso il Convergent Science Institute in Cancer dell'ateneo californiano, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver messo a punto un modello matematico in grado di prevedere l'ordine dei sintomi di centinaia di migliaia di casi di COVID-19 in diverse regioni. Dall'analisi di circa 380mila casi di positività registrati negli Stati Uniti tra gennaio e maggio dello scorso anno, il professor Kuhn e i colleghi hanno determinato che l'ordine dei sintomi più probabile differiva da quello rilevato all'inizio della pandemia in Cina, scoppiata alla fine del 2019 a nella megalopoli Wuhan. In Cina la febbre precedeva la tosse ed era seguita da nausea e/o vomito; negli Stati Uniti, d'altro canto, la febbre risultava essere il sintomo più comune mentre la diarrea era la terza conseguenza più diffusa dell'infezione. Dall'analisi di set di dati provenienti da altri Paesi, come Brasile, Hong Kong e Giappone, gli scienziati hanno determinato che l'ordine dei sintomi “non era associato alla regione geografica, alle condizioni meteorologiche o alle caratteristiche del paziente”, come indicato in un comunicato stampa. Il fattore chiave risiedeva proprio in un cambiamento genetico del patogeno pandemico, nello specifico la mutazione D614G localizzata sulla proteina S o Spike, il “gancio” sfruttato dal SARS-CoV-2 per agganciarsi alle cellule umane, rompere la parete cellulare, invaderle e avviare il processo di replicazione che scatena la malattia (COVID-19).

“Dato che la variante D614G del SARS-CoV-2 che si è diffusa rapidamente dall'Europa ed è divenuta dominante negli Stati Uniti durante la prima ondata dell'epidemia non era presente nell'epidemia iniziale in Cina, abbiamo ipotizzato che questa mutazione potesse influenzare l'ordine dei sintomi. A sostegno di questa teoria, abbiamo scoperto che quando il SARS-CoV-2 in Giappone è passato dal ceppo di riferimento originale di Wuhan alla variante D614G, l'ordine dei sintomi è passato al modello USA. Le analisi di Google Trends hanno supportato questi risultati, mentre il tempo, l'età e le comorbilità non hanno influenzato le previsioni del nostro modello sull'ordine dei sintomi”, hanno scritto gli scienziati nell'abstract dello studio. Gli autori della ricerca ritengono che l'ordine dei sintomi legato alle mutazioni del patogeno possa influenzare anche la trasmissibilità di una determinata variante; ad esempio, si ritiene che il ceppo D614G possa essere più contagioso del lignaggio selvatico e originale di Wuhan perché “le persone infette hanno maggiori probabilità di tossire in pubblico prima di essere impossibilitate dalla febbre”.

Recenti indagini hanno rilevato “sintomi insoliti” associati alla nuova variante super mutata Omicron, come ad esempio dolore alla gola in assenza di tosse e perdita di olfatto e gusto, con quadri clinici generalmente più lievi rispetto alla variante Delta che potrebbero essere legati all'acquisizione nel patrimonio genetico di un “pezzo” derivato da un coronavirus del raffreddore. Uno studio condotto da scienziati dell'Office for National Statistics aveva invece rilevato che la variante Alfa (B.1.1.7, ex inglese) rendeva più probabili tosse, dolori muscolari e mal di gola rispetto al ceppo originale. Sono tutte differenze che potrebbero essere legate proprio alle peculiarità genetiche dei vari ceppi. I dettagli della nuova ricerca americana “Modeling the onset of symptoms of COVID-19: Effects of SARS-CoV-2 variant” sono stati pubblicati sulla rivista scientifica specializzata PLOS Computational Biology.

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