Piani per salvare l’Artico “pericolosi e destinati a fallire”: un nuovo studio boccia la geoingegneria polare

Gli ambiziosi programmi di ricongelamento dell’Artico per salvare il ghiaccio marino dallo scioglimento dovuto al riscaldamento globale “non sono approcci responsabili” per limitare i rischi legati al cambiamento climatico. Lo afferma un gruppo di oltre 40 esperti, tra scienziati e scienziate da tutto il mondo, in un nuovo studio pubblicato su Science Frontiers, in cui sono state valutate cinque diverse strategie di geoingegneria, mostrandone limiti sia di fattibilità che di probabilità di successo.
“Evidenziamo – spiegano gli esperti nel nuovo studio – le problematiche e i rischi relativi alla disponibilità tecnologica, alla fattibilità logistica, ai costi, alle prevedibili conseguenze negative, ai danni ambientali, alla scalabilità (nello spazio e nel tempo), alla governance e all’etica di cinque progetti di geoingegneria polare”.
“Nessuno supera l’esame per quanto riguarda il loro utilizzo nei prossimi decenni – sottolineando i ricercatori – . Al contrario, riteniamo che questi approcci possano essere pericolosi per l’ambiente”.
Quali sono i piani per salvare l’Artico bocciati dagli esperti
I cinque programmi per contrastare lo scioglimento delle regioni polari esaminati dagli esperti comprendono approcci molto discussi, tra cui l’idea di poter aggiungere spessore al ghiaccio marino, come attualmente in fase di test in Canada.
Questi cinque approcci includono:
- Aumentare la riflettività solare all’interno dell’atmosfera
- Deviazione dei principali modelli di circolazione oceanica nelle regioni polari per ridurre lo scioglimento dei ghiacci
- Aumentare l’albedo o lo spessore del ghiaccio marino
- Rallentare il flusso delle calotte glaciali per limitare la perdita di ghiaccio verso gli oceani
- Migliorare l'assorbimento di CO2 da parte degli oceani
Questi approcci “non sono fattibili, e ulteriori ricerche su queste tecniche non rappresenterebbero un uso efficace di tempo e risorse limitati – dicono i ricercatori – . Concentrarsi su ‘soluzioni’ tecnologiche di geoingegneria o ‘interventi climatici’ potrebbe ritardare o mascherare alcuni degli impatti del cambiamento climatico, causando gravi danni ambientali e comportando la possibilità di gravi conseguenze impreviste”.
Secondo il gruppo di esperti, di cui fa parte anche la glaciologa Florence Colleoni, senior scientist dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e Geofisica sperimantale (OGS) di Trieste, le azioni di geoingegneria possono avere conseguenze gravi e irreversibili sia a livello locale, sugli ambienti polari e gli ecosistemi dipendenti e associati, sia a livello globale come, ad esempio, sul livello del mare, oltre al rischio che vengano utilizzate “come strategie per creare l’illusione di una soluzione climatica senza impegnarsi nella decarbonizzazione”.
Attenzione ai programmi di bioingegneria polare
Gli studiosi mettono in guardia dai piani di geoingegneria polare per contrastare il cambiamento climatico, in particolare quando le argomentazioni volte a giustificarne la loro esplorazione o implementazione viene posta di fronte a rischi crescenti, come il superamento di “punti di non ritorno”, o alla percezione di inazione da parte delle politiche attuali.
“Queste argomentazioni in genere evidenziano la geoingegneria come uno strumento necessario, fattibile o addirittura inevitabile nel più ampio spettro di misure di risposta al cambiamento climatico – osservano i ricercatori – . L’attenzione dovrebbe invece rimanere su strategie aggressive di riduzione delle emissioni e su solide misure di adattamento, mitigando le cause del cambiamento climatico attraverso una decarbonizzazione immediata, rapida e profonda, anziché tentare di intervenire nei fragili ecosistemi polari”.