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Perché siamo così attratti dal true crime: i motivi psicologici che ci spingono a guardare ciò che ci terrorizza

Negli ultimi anni il genere true crime è letteralmente esploso, come dimostra il successo di serie, libri e podcast che ricostruiscono le storie dei crimini più efferati e misteriosi mai compiuti. In realtà l’attrazione verso questo genere di storie fa parte della stessa natura umana e risponde a bisogni psicologici profondi.
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Serie tv, podcast, libri, eventi live, a prescindere dal canale utilizzato, una cosa è certa: il true crime è il genere rivelazione dell'ultimo decennio. Nel mondo, ma anche in Italia. Tanto per fare qualche esempio recente, solo nell'ultimo anno praticamente tutti abbiamo visto o abbiamo sentito parlare di serie come l'antologica Monster, il cui ultimo capitolo, quello dedicato a Ed Gein, è da poco uscito su Netflix.

Ma basta anche solo pensare a quanto siano attese e seguite le serie che ricostruiscono i crimini più famosi della cronaca italiana degli ultimi anni. Dal caso Claps a quello di Yara Gambirasio e ovviamente quello del Mostro di Firenze, raccontato nella serie Il Mostro di Stefano Sollima, che a soli pochi giorni dalla sua uscita ha guadagnato la cima della classifica dei titoli Netflix più visti a livello internazionale. Insomma, potremmo andare avanti per ore: le prove del grande appeal che il true crime esercita sul pubblico sono sotto gli occhi di tutti.

Ma perché siamo così attratti da storie reali di fatti atroci e terribili che allo stesso tempo ci inorridiscono e spaventano? Di fronte al crescente successo del true crime anche diversi esperti e studiosi si sono posti la stessa domanda.

Perché ci piace il true crime

L'attrazione per ciò che è terribile, violento, potremmo dire disumano, nel senso che nega ciò che culturalmente identifichiamo come alla base del concetto stesso di "essere umano", in primis il rispetto per la vita di un altro, in realtà è qualcosa di estremamente antico, atavico.

Potremmo dire senza troppi giri di parole che il fascino per il true crime è nato molto prima della televisione e del cinema. Basta pensare alle terribili tragedie greche che mettevano in scena i delitti più inquietanti e contrari alla stessa natura umana. Medea che uccide i figli e li fa mangiare con l'inganno a Giasone per vendetta dopo che lui l'aveva abbandonata, tanto per fare un esempio.

I greci la chiamavano "catarsi", ovvero il processo di purificazione che lo spettatore prova mentre gli attori mettono in scena le loro paure più profonde, così da permettere loro di avere la sensazione di viverle e quindi liberarsene senza essere davvero in pericolo.

Cosa dice la psicologia

Gli studiosi che negli ultimi anni hanno riflettuto sulle possibili ragioni che si nascondono dietro questa naturale attrazione verso le storie di crimini reali hanno proposto diverse possibili spiegazioni. Quasi tutti hanno ragionato sul ruolo della paura. Questa rappresenta infatti un'emozione fondamentale per la nostra stessa sopravvivenza perché ci protegge da situazioni potenzialmente pericolose per la nostra vita. In un'ottica evolutiva, è anche grazie alla paura che la specie umana è riuscita a sopravvivere. E guardare o ascoltare storie di crimini violenti – spiega un articolo dell’Istituto per lo Studio delle Psicoterapie – potrebbe funzionare come una sorta di simulazione mentale con cui impariamo a riconoscere segnali di pericolo.

A questo proposito sono interessanti i risultati di un recente studio secondo cui il pubblico dei prodotti true crime sarebbe formato, in percentuale, più da donne che da uomini. E secondo questo studio, pubblicato sul British Journal of Psychology, una possibile spiegazione potrebbe risiedere in un meccanismo inconscio, noto come vigilanza difensiva, attraverso cui gli esseri umani imparano a riconoscere i segnali di pericolo: secondo questa teoria “le donne – rilegge nello studio – cercano informazioni e conoscenze sulle situazioni pericolose che suscitano ansia per anticipare e prevenire meglio i pericoli della vita reale”. Ovviamente questa è solo una possibile spiegazione, o meglio uno dei possibili fattori che potrebbero spingerci a guardare o ascoltare queste storie.

Magli studiosi hanno evidenziato anche molte altre possibili funzioni di questa naturale attrazione verso il crime, come la curiosità morbosa o la regolazione delle emozioni. Questo vale ad esempio per l’ansia: secondo alcuni studi, le storie di crime o di paura potrebbero fornire un contesto sicuro per aiutarci a regolare l’ansia anche nella vita reale.

Il bisogno di trovare un ordine nel caos

Secondo un'altra teoria portata avanti da alcuni criminologi, le storie di crimini reali potrebbero affascinarci perché svolgono un altro importante ruolo a livello psicologico: dare una risposta al nostro bisogno, altrettanto atavico, di trovare un senso e una spiegazione ai fenomeni complessi, soprattutto se questi negano le regole sociali, e per questo ci sembrano ancora più difficili da comprendere. In qualche modo, quindi, saremmo inconsciamente portati ad ascoltare le storie di crimini efferati per il nostro naturale bisogno di razionalizzare l’irrazionale.

In generale – ha evidenziato un altro studio condotto negli ultimi anni – esiste una tendenza tutta umana a vedere contenuti negativi, come immagini violente o di morte, perché questo bisogno “può servire a funzioni psicologiche fondamentali e avere risultati benefici”. Allo stesso tempo, però, recenti lavori psicologici mettono in guardia sui possibili effetti negativi che questo genere di contenuti può avere: sia sulle persone vicine alle vittime, che rischiano di rivivere il trauma che quel crimine ha rappresentato per loro, ma anche per il pubblico generale. Tra questi possibili effetti collaterali c'è ad esempio l’idealizzazione e la romanticizzazione delle figure che hanno commesso quei crimini. Esiste un vero e proprio disturbo, ovvero l’ibristofilia, che consiste nel provare attrazione sessuale verso qualcuno che ha commesso un crimine, anche tra i più terribili, come l’omicidio o lo stupro.

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