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Parassita si traveste con pezzi di cellule umane per non farsi scoprire: uccide 70.000 persone ogni anno

I ricercatori dell’Università della California di Davis hanno scoperto che l’ameba Entamoeba histolytica, responsabile dell’amebiasi, per nascondersi al sistema immunitario si ricopre di pezzi di cellule umane. Il subdolo microorganismo uccide circa 70.000 persone ogni anno, ma ora gli scienziati hanno un’arma preziosa per poterlo combattere.
A cura di Andrea Centini
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L'ameba Entamoeba histolytica (verde) attacca i linfociti T umani. Credit: Katherine Ralston, UC Davis
L'ameba Entamoeba histolytica (verde) attacca i linfociti T umani. Credit: Katherine Ralston, UC Davis

Tra i parassiti più subdoli vi è sicuramente l'ameba Entamoeba histolytica, responsabile di una patologia chiamata amebiasi o dissenteria amebica. I ricercatori hanno infatti scoperto che, attraverso un processo chiamato trogocitosi, questo microrganismo una volta penetrato nel corpo fa a pezzi le cellule umane e ne usa alcuni pezzi per “travestirsi”. Il patogeno espone le componenti proteiche delle nostre cellule come una sorta di scudo, eludendo così il sistema immunitario che lo scambia per "amico". Un approccio infettivo sicuramente affascinante ma anche molto pericoloso, dato che può avere conseguenze molto gravi in diversi casi.

Secondo i dati citati dell'autorevole Istituto Pasteur francese, infatti, si stima che circa il 10 percento della popolazione mondiale – che ha recentemente superato gli 8 miliardi di individui – venga colpito da questo patogeno, che ogni anno è responsabile della morte di 70.000 persone (40.000 – 100.000). Una cifra significativa legata al fatto che le infezioni gravi sono molto complesse da combattere. La trasmissione di Entamoeba histolytica, come spiegato dalla Cleveland Clinic, avviene prevalentemente attraverso la via oro-fecale o consumando cibi e bevande contaminati. Ci si infetta entrando in contatto con le feci di persone infette – nel cui intestino si sviluppano le uova del parassita – e portandosi le mani su volto, occhi e bocca, magari dopo aver toccato oggetti sporchi. Non c'è da stupirsi che l'amebiasi sia diffusa prevalentemente nei Paesi in via di sviluppo in cui i livelli di igiene sono scarsi. Tra le popolazioni a rischio vi sono anche i viaggiatori e coloro che praticano determinate attività sessuali, che possono esacerbare le probabilità di contagio.

Poiché questa ameba ha un genoma particolarmente complesso e ampio, ben cinque volpe più grande di quello della salmonella e addirittura migliaia di volte quello del virus dell'HIV (responsabile della sindrome da immunodeficienza acquisita – AIDS), gli scienziati hanno impiegato moltissimi anni a sequenziarlo e a svelarne i segreti. Grazie a nuovi studi è stato tuttavia dimostrato che attraverso un processo cellulare chiamato “inibizione dell'RNA” (RNAi) non solo è possibile controllare e inibire la sua copiosa libreria di geni (ben 8.734), ma anche identificare quali sono quelli responsabili della trogocitosi e del "travestimento "che permette a Entamoeba histolytica di eludere il sistema immunitario, ciò che la rende così pericolosa per la salute. Questi dati potrebbero permettere ai ricercatori – anche grazie alla tecnologia dell'editing genetico CISPR – di individuare i bersagli da colpire con nuovi farmaci e vaccini, rendendo le infezioni del parassita molto più gestibili.

A condurre lo studio è stato un team di ricerca statunitense del Dipartimento di Microbiologia e Genetica Molecolare dell'Università della California di Davis, guidato dalla professoressa Katherine Ralston che da molti anni è in prima linea contro questa ameba. Tra i sintomi più comuni dell'amebiasi, come spiegato dalla Cleveland Clinic, figurano crampi (dolori addominali), diarrea, febbre e nausea. Il parassita può restare anche a lungo nell'intestino senza provocare sintomi (e non tutti li manifestano). Tuttavia, in alcuni casi, l'infezione può determinare complicazioni potenzialmente letali caratterizzate da anemia, peritonite, ascesso epatico e invasione di polmoni e cervello. L'ameba uccide tutte le tipologie di cellule che si trova innanzi indistintamente, liquefacendo ad esempio quelle del fegato e provocando gravi ulcere nel colon.

Come indicato, attraverso la trogocitosi questa ameba sfrutta i pezzi delle sue “vittime” eludendo il sistema immunitario, in particolar modo acquisendo le proteine CD46 e CD55 che espone sulla sua superficie, come dimostrato da Ralston e colleghi nel nuovo studio. Un meccanismo molecolare sofisticato ed elegante che potrebbe diventare il punto debole del parassita grazie alle nuove armi genetiche sviluppate dagli scienziati, dopo tanti anni di difficoltà. “Ora vediamo la luce alla fine del tunnel e pensiamo che questo obiettivo potrebbe essere realizzabile”, ha affermato il coautore dello studio Wesley Huang in un comunicato stampa. “La scienza è un processo di costruzione. Bisogna costruire uno strumento dopo l'altro, finché non si è finalmente pronti a scoprire nuove terapie”, gli ha fatto eco la professoressa Ralston. I dettagli della ricerca “Work with me here: variations in genome content and emerging genetic tools in Entamoeba histolytica” sono stati pubblicati sulla rivista scientifica specializzata Trends in Parasitology.

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