“Non è vero che infarti e ictus non danno segnali di avvertimento”: i risultati di un nuovo studio

Le malattie cardiovascolari, compresi ictus e infarti, sono tutt'oggi la principale causa di morte nel mondo e in Italia. Nonostante queste patologie siano spesso legate a fattori di rischio modificabili, tendono a restare a lungo silenziose e si manifestano solo quando sono a uno stato avanzato o, come nel caso dell'infarto o dell'ictus, addirittura mentre si stanno verificando. Questa loro caratteristica ha contribuito a creare la percezione secondo cui questi eventi, potenzialmente fatali, siano imprevedibili.
Ora un nuovo importante studio condotto dalla Northwestern Medicine e dalla Yonsei University in Corea del Sud sostiene che questa convinzione comune sia sostanzialmente sbagliata, almeno per la maggior parte dei casi. Dopo aver analizzato le cartelle cliniche di circa 9 milioni di adulti in Corea del Sud e di circa 7.000 persone negli Stati Uniti per un periodo di oltre dieci anni, gli autori dello studio sono infatti giunti alla conclusione che nel 99% dei casi non è vero che eventi come infarti e ictus si verifichino dal nulla, senza dare alcun segnale di avvertimento.
I fattori di rischio considerati
Per condurre questa ricerca, i ricercatori hanno preso in considerazione quattro fattori di rischio ben noti per le malattie cardiovascolari: pressione arteriosa elevata, glicemia alta, colesterolo elevato e fumo (attuale o passato). Come riferimento, sono stati utilizzati i valori di salute cardiovascolare ideali definiti dall'American Heart Association(AHA), una delle più autorevoli associazioni cardiologiche degli Stati Uniti.
In particolare, lo studio ha analizzato due livelli di rischio. Il primo includeva i valori non ottimali, cioè livelli che non indicano ancora una malattia diagnosticabile, ma che sono comunque al di fuori dei range considerati sani. Rientrano in questa categoria: pressione sistolica (la “massima”) pari o superiore a 120 mm Hg, diastolica (la “minima”) pari o superiore a 80 mm Hg, colesterolo totale oltre i 200 mg/dL, glicemia a digiuno superiore a 100 mg/dL e fumo, anche pregresso.
Il secondo livello ha invece preso in considerazione le soglie cliniche, ovvero i valori comunemente utilizzati dai medici per porre una diagnosi. In questo caso, i limiti erano: pressione sistolica pari o superiore a 140 mm Hg, diastolica pari o superiore a 90 mm Hg, colesterolo oltre i 240 mg/dL, glicemia pari o superiore a 126 mg/dL e fumo attivo.
Cosa hanno scoperto i ricercatori
I ricercatori hanno poi individuato, all’interno della vasta popolazione analizzata, quanti avessero avuto un infarto, un ictus o sviluppato insufficienza cardiaca. Una volta selezionati questi casi, hanno esaminato le loro cartelle cliniche precedenti per verificare se presentassero uno o più fattori di rischio tra quelli sopra indicati. È emerso che quasi tutti, circa il 99%, avevano almeno un valore non ottimale tra quelli analizzati, e oltre il 93% presentava due o più fattori di rischio. L’ipertensione si è rivelata il fattore più comune: presente in oltre il 95% dei pazienti sudcoreani e nel 93% di quelli statunitensi colpiti da una di queste malattie.