Nella Foresta Impenetrabile coi gorilla, il racconto di due biologi italiani: “Meraviglia, ma c’è un lato oscuro”

Alla fine di agosto, grazie a un progetto gestito dall'Uganda Wildlife Authority (UWA), i due biologi Sofia Bonicalza e Lorenzo Gordigiani hanno avuto l'opportunità di incontrare i gorilla di montagna (Gorilla beringei beringei) nel cuore della Foresta Impenetrabile del Bwindi, uno dei luoghi più preziosi al mondo sotto il profilo della biodiversità.
Qui, a un passo dal confine con la Repubblica Democratica del Congo e dal Parco Nazionale del Virunga, vive circa la metà della popolazione mondiale di questi meravigliosi – e minacciati – primati. Questa sottospecie di gorilla orientale è infatti in grave pericolo di estinzione, a causa del bracconaggio e della distruzione dell'habitat naturale in cui vive, nonostante le rigidissime misure di tutela introdotte. Gli animali sono esposti anche alla trasmissione di patogeni umani e ai conflitti che a lungo hanno insanguinato queste terre.

Per raggiungere i gorilla, oltre al pagamento di una tassa molto alta utile (anche) alla loro conservazione, si deve attraversare una vegetazione fittissima, dove la luce filtra con difficoltà. Il supporto di un ranger armato di machete è imprescindibile per poter procedere; non c'è da stupirsi che il nome Bwindi, nella lingua locale, faccia riferimento proprio a un luogo oscuro e misterioso. Ma il premio finale per chi si impegna in una simile avventura è impagabile: trovarsi al cospetto di primati che condividono con noi, Homo sapiens, circa il 98 percento del patrimonio genetico. Così simili, eppure così diversi.
Sofia e Lorenzo, che fanno coppia nella vita, durante la loro esperienza hanno avuto la fortuna di avvistare anche due imponenti silverback, i maschi dominanti a capo di due famiglie coinvolte in un pacifico incontro. Assieme a loro c'erano gorilla di tutte le età, i più grandi intenti a mangiare foglie e i più piccoli a giocare, con capriole sul terreno.
Un incontro meraviglioso, che Lorenzo e Sofia, studiosi e grandi appassionati di animali, hanno descritto come una delle esperienze più incredibili della loro vita. Per saperne di più su come si è svolto questo incontro e quali emozioni hanno provato, Fanpage.it li ha raggiunti telefonicamente. Ecco cosa ci hanno raccontato i due biologi.

Come avete fatto a incontrare questi gorilla e perché siete venuti proprio in Uganda per osservarli?
La Foresta Impenetrabile del Bwindi in Uganda è uno dei pochi posti al mondo – e comunque in Centro Africa – dove è possibile osservare il raro gorilla di montagna. È al confine col Congo e col Ruanda. Proprio il confine tra queste tre nazioni rappresenta l'ultimo baluardo del gorilla di montagna, quindi sapevamo della sua presenza in questa zona. Abbiamo scelto l'Uganda perché prima di andare nel Bwindi abbiamo fatto volontariato in un altro parco nazionale del posto, il Murchison Falls, dove passa il Nilo. C'è una cascata e c'è la savana, oltre che la foresta. Dopo aver lavorato nella savana ci siamo detti che non potevamo andare in Uganda senza vedere i gorilla, che sono un po' il simbolo della nazione.
Siccome accoppiamo sempre i nostri viaggi a esperienze di volontariato, che abbiamo fatto in un centro di ricerca nel Murchison Falls, abbiamo contatto un'organizzazione locale chiamata Bwindi Conservation for Generations Foundation che si occupa di comunità locali. È di una persona del posto che è stata un po' più fortunata perché ha potuto istruirsi, proseguire negli studi. Ha deciso di dare indietro qualcosa alla sua comunità. Poiché è una zona ancora molto povera, anche se si sta rivalutando col turismo, lui sta sviluppando diversi progetti legati alla conservazione dei gorilla che sono di supporto alla comunità locale. Ad esempio, coinvolge delle donne nella creazione di cesti tradizionali e souvenir per i turisti che vengono a vedere i gorilla, oppure artigiani che fanno statuine di gorilla.

Intorno alla figura del gorilla si è sviluppata una piccola economia locale che è di sostentamento a tante persone. Quindi, oltre a essere unici da un punto di vista naturalistico e evoluzionistico, questi animai sono utili. Anche per lo Stato. Per vederli abbiamo pagato 800 dollari a testa; è proprio una tassa statale che va alla UWA, l'Uganda Wildlife Authority. La maggior parte dei turisti si appoggia alle aziende di safari, ma che ti possono portare solo all'accesso del parco, poi vieni lasciato nelle mani dei ranger dell'UWA. La guida safari non ti accompagna direttamente all'interno del parco. Si accede esclusivamente sotto la sorveglianza di un ranger autorizzato dell'UWA, armato, che ti porta a fare l'esperienza con i gorilla abituati alla presenza umana.
Arrivare dai gorilla passando attraverso la famosa Foresta Impenetrabile non deve essere stato facile
Ci hanno fatto tutto un preambolo iniziale spiegandoci che un tempo era molto più complesso andare da questi gorilla, perché spesso neanche si trovavano. Quindi il turista magari pagava e poi i gorilla non li vedeva. Da qualche anno si sono organizzati un po' meglio, perché inviano prima i tracker. Sono delle persone che partono la mattina presto e che conoscono assieme ai ranger i gruppi di gorilla; ce ne sono 11. Il nostro si chiamava Rwigyi, questo era il nome della famiglia che avremmo dovuto incontrare. Ogni gruppo di turisti può essere composto al massimo da 8-9 persone, e a ciascun gruppo viene assegnata una famiglia di gorilla.

Quando parti con ranger e guida, i tracker si sono già messi sulle tracce degli animali. Inizialmente si cammina su dei sentieri che prima non c'erano, che sono stati creati per rendere più accessibile il percorso. Sono abbastanza comodi, anche se è pieno di formiche che si arrampicano, entrano nelle scarpe e mordono. Mentre sei sui sentieri magari aspetti un'ora, poi arriva la comunicazione dei tracker che hanno avvistato i gorilla. A quel punto si esce dai sentieri perché non è che i gorilla stanno lì. Noi prima di inoltrarci abbiamo riposato all'altezza di un bivio, non sapevamo se dovevamo andare a destra o a sinistra; abbiamo osservato altri animali come le scimmie blu.
Poi siamo partiti, dietro al ranger che apriva la strada col machete, ma lì è tutto un rovo unico, col fango. È anche molto buio perché la luce del sole fa fatica a filtrare. È una foresta selvaggia nel vero senso della parola. Abbiamo anche visto le impronte gigantesche e le fatte degli elefanti, non ci sono solo i gorilla. Qualche giorno prima avevamo incontrato anche gli scimpanzé, ma li senti a chilometri di distanza perché urlano come dei pazzi. Invece i gorilla sono super silenziosi.

E ve li siete trovati davanti all'improvviso
Sì, noi non avevamo neanche realizzato di averli trovati. Io (Sofia NDR) avevo un gorilla a 1 metro dentro a un cespuglio. “Mamma, è così vicino”, ho pensato.
Sono belli grossi
Siamo stati super fortunati perché siamo arrivati in un momento in cui due famiglie di gorilla si erano ricongiunte, quindi abbiamo visto addirittura due silverback, i grandi maschi. Erano insieme, non in conflitto, ma pacifici. Sono enormi e hanno un aspetto anche un po' pauroso, antropomorfo ma pauroso. Eppure li vedi lì mentre mangiano le foglie con delicatezza. Ti trasmettono questo senso di serenità che personalmente gli scimpanzé non ci hanno trasmesso, perché urlano e sono molto timorosi. I gorilla erano tranquilli, facevano la loro vita e noi eravamo come degli ospiti, accolti con serenità nel loro territorio. È stato bellissimo.

Quindi l'emozione più forte è stato questo senso di accoglienza, di serenità che vi hanno trasmesso
Sì. Per me (risponde Lorenzo NDR) è stato particolarmente emozionante perché credo sia stato uno dei primi animali che ho visto in vita mia. A 5-6 anni i miei mi portarono allo zoo di Roma e c'era un gorilla dentro una gabbia. Aveva le mani attaccate alle sbarre e mi guardava tristissimo. Io dissi ai miei genitori che non volevo venire più in uno zoo perché non era giusto che gli animali fossero tenuti così. È stato emozionante vedere 30 anni dopo questi animali liberi e felici nella Foresta Impenetrabile dell'Uganda. È stata un'emozione fortissima.

Io sono sempre stata appassionata di primati sin da piccola (risponde Sofia NDR), figure come Dian Fossey che ha studiato i gorilla e Jane Goodall erano un po' i miei miti. Avevo letto i libri, visto i film. Forse anche grazie a loro sono stata spinta a lavorare nell'ambito della conservazione. Anche per questo sapevo dei gorilla di montagna in questa zona.

Nel limitrofo Parco del Virunga c'è un grosso problema con il bracconaggio, dove purtroppo uccidono tanti ranger. Succede anche in Uganda?
I ranger sono armati perché quando sei nella giungla possono difenderti da animali pericolosi, che possono essere gli elefanti oppure i gorilla non abituati all'essere umano. Non è che gli sparano, sparano in aria per spaventarli. A noi hanno riferito questo. Il bracconaggio c'è, ma è un problema che qui è collegato alla povertà della comunità. I bracconieri mettono le trappole, non per vendere il trofeo agli occidentali e fare un sacco di soldi, ma per mangiare. Non mangiano carne di gorilla o di leone, ma mettono trappole che non fanno selezione. Le mettono principalmente per gli ungulati, però a volte possono catturare qualcos'altro, ma è un problema molto legato alla povertà. Nell'altro progetto del Murchison Falls i bracconieri vengono trasformati in artisti; con i fil di ferro delle trappole realizzano delle sculture. Il bracconaggio c'è, ma non mette a rischio la vita delle persone. Sono i bracconieri che mettono a rischio la loro vita andando di notte nella foresta e nella savana. In tanti non tornano.
E poi avete fatto una scoperta tristissima legata al parco e alla conservazione dei gorilla, che ha colpito in modo profondo il popolo pigmeo dei Batwa
Sì. I Batwa sono uno dei popoli più antichi dell'umanità, che secondo alcuni studi hanno vissuto in queste foreste per 60.000 anni. Sono perfettamente adattati alla vita della foresta e noi abbiamo avuto l'opportunità di incontrarli. Lorenzo ha chiesto loro quale fosse il loro rapporto coi gorilla.

E cosa hanno risposto?
Che li vedevano come un animale negativo. Incontrarli portava sfortuna. Per questo si spartivano gli spazi della foresta con i gorilla e cercavano di non avere mai un rapporto diretto con loro. C'era comunque rispetto, ma anche forse un po' di timore.
E poi cos'è successo?
Nel 1991 è stato creato il parco che è diventato patrimonio dell'UNESCO per proteggere i gorilla. Ma invece di conservare anche questo popolo indigeno, che non aveva subito la colonizzazione inglese e ha continuato a vivere come sempre, lo hanno costretto ad andare via dalla foresta. Li hanno sfrattati e non si sa bene perché. Forse pensavano che sarebbero stati un problema per lo sviluppo del turismo. E infatti lì ci siamo sentiti quasi in colpa per essere andati a vedere i gorilla, perché alla fine è anche colpa del turismo se loro sono stati trasferiti.
Come vivono adesso?
Sono un popolo che vive ancora in condizioni di estrema povertà ed emarginazione, perché non sono neanche mai stati integrati dagli altri locali, gli agricoltori che si sentivano civilizzati. Negli anni 2000 erano tra i popoli più poveri del mondo; avevo letto un articolo in cui si diceva che guadagnavano qualcosa come 1 dollaro al mese. Vivono molto semplicemente, le loro case sono ancora come quelle che avevano nella foresta, sono capanne fatte di rovi.
La cosa incredibile è che loro non possono neanche più accedere alla foresta. Lo abbiamo chiesto grazie a un traduttore. In Uganda è tutto molto centralizzato, forse per una maggiore protezione, ma comunque è illegale accedere nel parco senza un ranger o una guida del governo. Un signore ci ha raccontato che ci ha provato ed è stato incarcerato per un anno e mezzo per bracconaggio. Probabilmente era entrato per cacciare perché quello era l'unico modo che conosceva per sostenersi, per procurarsi proteine. Quindi gli è stata fatta un'enorme ingiustizia. È una storia che ci ha colpito molto perché oggi si parla tanto degli indigeni del Sud America e dei loro diritti, ma anche in Africa ci sono queste storie.

Quindi i Batwa non ricevono fondi dai (tanti) soldi versati dai turisti per vedere i gorilla?
Noi abbiamo avuto modo di interagire con i Batwa grazie alla Bwindi Conservation for Generation, non c'era un collegamento con l'escursione per i gorilla. Ci hanno detto che di quei famosi 800 dollari di tassa per visitare il parco, il 20 percento va alle comunità locali. A loro però non vanno soldi, ma regalano delle caprette.
Quindi ricevono solo capre
Esatto. Abbiamo chiesto loro se avessero piacere a lavorare nell'ambito della conservazione della foresta e ci hanno risposto “ovviamente sì”, ma il problema è che non hanno i soldi nemmeno per mandare i bambini a scuola. Sono pochissimi i Batwa istruiti. Quelli vecchi, che fino al '91 vivevano nel parco, non sanno nemmeno quanti anni hanno. Nella nostra visione, diciamo, sono considerati ignoranti. Non possono neanche diventare ranger. Devono istruirsi, seguire un percorso di studi tradizionale. Vanno sostenuti progetti che seguono questa direzione.
Abbiamo chiesto loro se desiderassero tornare nella foresta anche solo per una passeggiata e ci hanno risposto che “fa troppo male, è troppo triste”, perché molte delle persone che vivono in questa comunità hanno avuto l'esperienza diretta della vita nella foresta, e sono stati cacciati via. Molti di loro hanno il ricordo di una cultura vecchia di 60.000 anni, una cultura ancora più antica della nostra, di quella occidentale, se vogliamo. Poi da un giorno a un altro sono stati espulsi. Fra l'altro hanno delle conoscenze incredibili. Ci hanno fatto vedere come si accende un fuoco, ci hanno parlato di piante medicinali. C'è il rischio che queste loro conoscenze vadano perdute per sempre.
 
		 
  