La sensibilità al glutine non è sempre il vero problema: i sintomi possono ingannare, è diversa dalla celiachia

Sintomi come dolori intestinali, gonfiori o stanchezza dopo aver mangiato pane o pasta, possono trarre in inganno e non essere legati alla sensibilità al glutine. È quanto emerge da un nuovo studio pubblicato su The Lancet dai ricercatori dell’Università di Melbourne, che dimostra come il glutine sia raramente il vero responsabile del problema.
La ricerca ribalta alcune delle convinzioni più diffuse sull’alimentazione senza glutine, spesso considerata come un segreto per migliorare salute e prestazioni. “Volevamo capire se il glutine in sé o altri fattori fossero la causa reale dei sintomi che le persone negative al test per la celiachia sperimentano dopo aver mangiato cibi contenenti glutine – spiega la nutrizionista Jessica Biesiekierski, prima autrice dello studio – . Esaminando decenni di ricerche, abbiamo scoperto che raramente il glutine è vero colpevole”.
Gli scienziati hanno rilevato che, contrariamente a quanto di crede comunemente, molti sintomi attribuiti alla sensibilità al glutine migliorano solo quando si eliminano altri composti, come i fruttani. Si tratta di carboidrati fermentabili appartenenti al gruppo dei FODMAPs, presenti principalmente in frutta e verdura e noti per provocare gonfiore e dolore addominale in persone predisposte.
“Le persone con sindrome dell'intestino irritabile, che credono di essere sensibili al glutine, reagiscono in modo simile al glutine, al grano e al placebo – ha aggiunto Biesiekierski – . Questo suggerisce che il modo in cui le persone anticipano e interpretano le sensazioni intestinali possa influenzare fortemente i loro sintomi”.
Cosa dice lo studio sulla causa della sensibilità al glutine
Lo studio ha combinato i risultati di oltre 58 ricerche che hanno analizzato i cambiamenti nei sintomi e le modalità con cui potrebbero manifestarsi. “In tutti questi studi, le reazioni specifiche al glutine sono state rare e, quando si sono verificate, i sintomi erano di solito lievi – sottolinea Biesiekierski – . Molti partecipanti che ritenevano di essere ‘sensibili al glutine’ hanno reagito in modo uguale, o persino più forte, al placebo”.
In particolare, nelle persone che dichiaravano di essere sensibili al glutine (ma non affette da celiachia), esaminando il ruolo dei carboidrati fermentabili FOADMAP, i ricercatori hanno osservato che seguendo una dieta a basso contenuto di FODMAP – evitando alimenti come alcuni tipi di frutta, verdura, legumi e cereali – i sintomi miglioravano, anche dopo la reintroduzione del glutine.
I fruttani, un tipo di FODMAP presente nel grano, nella cipolla, nell’aglio e in altri alimenti, erano tra le sostanze che causavano più gonfiore e disagio del glutine stesso. “Ciò suggerisce che la maggiore parte delle persone che si sentono male dopo aver mangiato glutine sia in realtà sensibile a qualcos’altro – osserva l’esperta – . Potrebbero essere i FODMAP come i fruttani o altre proteine del grano. Un’altra spiegazione potrebbe essere che i sintomi riflettano un disturbo nell'interazione tra intestino e cervello, simile alla sindrome dell’intestino irritabile”.
Non è celiachia ma neppure vera sensibilità al glutine
A differenza della celiachia, che è una malattia autoimmune diagnosticabile con esami specifici, la cosiddetta sensibilità al glutine non celiaca non danneggia l’intestino né coinvolge direttamente il sistema immunitario. Tuttavia, i sintomi possono essere simili: gonfiore, mal di testa, stanchezza e difficoltà di concentrazione.
Nella maggior parte dei casi, i sintomi della sensibilità al glutine non sono però legati al glutine stesso ma ad altri composti, come i carboidrati fermentabili del gruppo dei FODMAPs. I ricercatori invitano quindi a non confondere le due condizioni e ad evitare diete “fai da te” che eliminano il glutine a prescindere.
“Se per circa l’1% della popolazione affetta da celiachia è fondamentale evitare il glutine per tutta la vita, lo stesso non vale per la maggior parte di coloro che si sentono meglio con un’alimentazione senza glutine – spiegano gli studiosi – . È improbabile che il glutine sia il vero problema”.
Gli autori ricordano inoltre che eliminare glutine dall’alimentazione può avere un costo importante per il portafoglio – gli alimenti senza glutine costano in media il 139% in più di quelli tradizionali – e portare a diete più povere di fibre e nutrienti essenziali. “Evitare il glutine a lungo termine può anche ridurre la diversità della dieta, alterare i microbi intestinali e rafforzare l’ansia legata al cibo”.
Secondo gli autori, la chiave è capire a cosa si reagisce realmente, affidandosi a uno specialista. “Individuare la vera origine dei disturbi gastrointestinali è fondamentale: spesso non è il glutine, ma il modo in cui l’intestino risponde ad altri composti”.