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Cambiamenti climatici

La commovente foto dell’orso polare cullato da un iceberg è il simbolo del dominio umano sul pianeta

Il meraviglioso scatto “Ice Bed” del fotografo naturalista Nima Sarikhani mostra con dolcezza e forza dirompente la precaria vita degli orsi polari, condannati a indicibili sofferenze a causa del riscaldamento globale causato dall’uomo. Il giovane esemplare riposa su un iceberg alla deriva, baluardo di un mondo che stiamo letteralmente facendo sciogliere.
A cura di Andrea Centini
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Credit: Nima Sarikhani / People's Choice Award di Wildlife Photographer of the Year
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Ci sono fotografie che lasciano il segno e talvolta fanno la storia. Lo scatto soprannominato “Ice Bed” del fotografo naturalista Nima Sarikhani, vincitore del prestigioso premio People's Choice Award di Wildlife Photographer of the Year, molto probabilmente diventerà un simbolo della nostra epoca. Nella meravigliosa immagine, catturata alle isole Svalbard, si osserva un giovane orso polare (Ursus maritimus) mentre riposa dolcemente in cima a un piccolo iceberg. La posizione suscita infinita tenerezza, ma al contempo smuove un senso di profonda angoscia, tristezza. È commovente. L'animale, infatti, sembra sentirsi al sicuro, cullato dalla sua piccola isola galleggiante alla deriva nel gelido Mar Glaciale Artico. Ma è appunto un baluardo, una precaria scialuppa di salvataggio cui aggrapparsi sul grande blu, che si distende quasi infinito attorno al blocco di ghiaccio. La fotografia, in sostanza, coglie in modo sublime l'essenza stessa della vita degli orsi polari, sovrani indiscussi di un mondo di ghiaccio che si sta letteralmente sciogliendo sotto le loro zampe a causa della crisi climatica in atto.

Credit: Nima Sarikhani / People's Choice Award di Wildlife Photographer of the Year
Credit: Nima Sarikhani / People's Choice Award di Wildlife Photographer of the Year

“L'immagine mozzafiato e toccante di Nima ci permette di vedere la bellezza e la fragilità del nostro pianeta. La sua immagine suggestiva è un forte promemoria del legame profondo tra un animale e il suo habitat e funge da rappresentazione visiva degli impatti dannosi del riscaldamento climatico e della perdita di habitat”, ha chiosato in un comunicato stampa il dottor Douglas Gurr, direttore del Museo di storia naturale di Londra che gestisce l'ambito concorso fotografico. Lo scatto ha una forza talmente dirompente che ha fatto breccia nel cuore di decine di migliaia di persone, che hanno deciso di votarlo in massa facendogli sbaragliare la concorrenza. Ice Bed ha surclassato le 50.000 fotografie candidate (e le altre 24 finaliste) con 75.000 voti, un record assoluto, come indicato dal museo londinese. Del resto sono davvero molto poche le immagini (reali) che riescono a mostrare con una tale grazia l'impatto catastrofico dell'essere umano sul pianeta, spingendo giocoforza a riflettere anche chi si ostina a non credere al cambiamento climatico. Ecco perché la fotografia di Nima ha tutte le carte in regola per diventare un simbolo dell'Antropocene.

Immagine

Gli orsi polari sono classificati come vulnerabili (codice Vu) nella Lista Rossa dell'Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN), il principale organo mondiale che si occupa di tutela della biodiversità. Sono fra le specie più minacciate in assoluto dal riscaldamento globale, poiché, come indicato, distrugge letteralmente il loro habitat naturale. Lo dimostrano molteplici ricerche e documenti, che evidenziano quanto stia diventando dura la sopravvivenza per questi maestosi plantigradi.

Un recente studio coordinato da scienziati canadesi dell'Università di Toronto Scarborough, ad esempio, ha dimostrato che le femmine hanno sempre maggiori difficoltà ad allattare i piccoli, poiché sono costrette a digiuni sempre più lunghi e non riescono più a produrre latte di qualità (ricco di grassi) o sufficiente per sfamare i piccoli. La riduzione del ghiaccio marino nel continente Artico, che si sta riscaldando a una velocità doppia o persino quadrupla rispetto al resto del pianeta, costringe gli orsi polari a spostamenti lunghissimi e sfiancanti per ricercare le proprie prede, foche in primis. Spesso devono affrontare nuotate mortali per spostarsi da un'area all'altra. Emblematiche le immagini degli orsi polari che, a causa della carenza di cibo, si aggirano come spettri negli insediamenti umani alla ricerca di rifiuti, come accaduto nel 2019 nel villaggio russo di Ryrkaypiy (regione di Chukotka), con decine di esemplari arrivati a ridosso delle case.

La carenza di ghiaccio riduce anche la possibilità di trovare tane idonee dove far nascere e allevare i piccoli. La competizione per le risorse è estrema e il dispendio energetico per procurarsele pone le femmine innanzi a un bivio atroce: preservare la propria vita o salvare quella dei cuccioli. Non c'è da stupirsi che, secondo gli autori dello studio, le difficoltà nell'allattamento avrebbero provocato il crollo del 50% della popolazione di orsi polari nella baia di Hudson in pochi decenni. A minacciare la sopravvivenza della specie anche l'aumentata aggressività dei grossi maschi affamati, che hanno iniziato ad attaccare le femmine con i piccoli per sfamarsi. A rendere il tutto ancor più angosciante l'arrivo dell'influenza aviaria.

In natura restano poco più di 20.000 esemplari di orso polare, secondo le stime del WWF. Non sono dunque in immediato pericolo di estinzione, tuttavia diverse ricerche suggeriscono che entro il 2100 potrebbero estinguersi intere popolazioni. Già entro il 2060 la popolazione complessiva potrebbe crollare del 30 percento. Il meraviglioso scatto di Nima Sarikhani ci ricorda che i responsabili di questo collasso ecosistemico siamo noi; ma il piccolo iceberg sul quale riposa il giovane orso è anche un simbolo di speranza. Siamo ancora in tempo per salvare queste meravigliose creature (e noi stessi) dall'apocalisse climatica, ma dobbiamo agire subito contro le emissioni di gas a effetto serra, motore della crisi climatica in atto e principale volano dello scioglimento dei ghiacci.

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